L'ANTRO DEL CORCHIA
O BUCA D'EOLO

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L'AVVENTURA DELLE ESPLORAZIONI

di Franco Utili

Il tempo che Berta filava

L'avventura delle esplorazioni all'Antro del Corchia inizia oltre 160 anni fa. L'ingresso viene scoperto per caso nel 1840 “sulle balze della Corchia che guardano Levigliani” ed è situato nella Valle d'Acereto a 1125 metri di quota, sulle pendici occidentali del monte Corchia.

La grotta, e la riposta speranza di individuare profittevoli vene di marmo, sollecita la curiosità dei leviglianesi così da convincere il Sig. Angelo Simi, padrone di Levigliani, a penetrare all'interno e a percorrerne un lungo tratto per quanto era possibile. Sicuramente percorre, presumibilmente col figlio Emilio, il ramo di sinistra ove si avvede che le pareti sono di candidissimo marmo. Fa eseguire quindi alcune ricerche nelle vicinanze della grotta, coronate da esito positivo, seguendo una grande vena di marmo statuario che lo convince ad aprire una cava regolare nel 1841, cui segue una strada di arroccamento e una lizza.

La prima denominazione della grotta è Buca della Ventajola, a causa del forte vento che fuoriesce dall'ingresso, ma presto abbandonata per la più suggestiva Buca d'Eolo. (E. Simi, 1855). È conosciuta anche come Grotta del Simi (P. Savi, 1845) e Grotta del Delfino. Solo successivamente viene ribattezzata Antro del Corchia.

Il primo a scrivere della grotta è Leopoldo Pilla nel 1845. Da lui si viene a sapere che “la scoperta e l'esplorazione dell'Antro del Corchia non avviene durante i lavori di impianto e coltivazione della cava d'Acereto ma invece è da attribuire esclusivamemte alla ricerca di vene di marmo statuario nel monte Corchia, intraprese da Angelo Simi, persona molto intraprendente” (R. Giannotti, 1990). Nello stesso anno anche Ranieri Barbacciani-Fedeli dà notizie sulla suddetta caverna.

Emilio Simi partecipa alle prime esplorazioni della Buca della Ventajola, come testimonia un graffito datato 11/10/1840, e nel 1847 ne fa un'ampia descrizione soffermandosi anche nell'osservazione del fenomeno delle due forti correnti d'aria (estiva e invernale) che caratterizzano l'ingresso della cavità.

«Dopo essersi profondati nel seno del monte per lo spazio di 38 braccia, e per un cunicolo sempre uniforme dell'altezza di quattro e della larghezza di sei, istantaneamente odesi cessare il vento, e inaspettato si presenta allo sguardo un grande marmoreo salone, il quale dà ampio accesso a tre immense Gallerie poste una a destra, l'altra a sinistra, l'ultima in faccia. Quella a destra col vacuo fino ad ora esplorato, si profonda oltre le 1000 braccia, quella a sinistra è di 374, e la terza di 158. Io andrò descrivendo da prima quella a sinistra perché la più bella, la più ricca e la più praticabile».

Di pari passo alle visite nella grotta ne vengono stilati alcuni rilievi. Il primo, attribuito fino al 1981 al Simi, il cui originale è conservato nella biblioteca del Gruppo Speleologico Fiorentino del CAI (GSF), è invece della mano di Leopoldo Finali; sia perché la calligrafia non corrisponde a quella del Simi sia perché nel lucido del disegno è annotato e posto sulla sinistra del suo margine inferiore a lapis, marcato in maniera leggerissima, “Leopoldo Finali fece/10 febbraio 1840”. Lo stesso Finali poi, nell'Annuario della Sezione Fiorentina del CAI del 1887, invitando a visitare la “grotta della La Ventajola o di Eolo nel monte Corchia” precisa che “Nel 1841 quando l'escavazione dei marmi prese notevole incremento nella Versilia… anche i fianchi della Corchia vennero squarciati… e per questa circostanza che la grotta venne scoperta…e quando l'apertura della grotta fu resa accessibile, il mio amico e compagno di allora Emilio Simi ne fece la descrizione… io ne ricavai il piano e la misura geometrica…il celebre Prof. Paolo Savi maestro a noi due ne stampò le “Considerazioni sulla struttura geologica delle montagne pietrasantine”.

Planimetria di Leopoldo Finali del 1840

Planimetria di Leopoldo Finali del 1840

Rilievo allegato alla pubblicazione "Sull'Alpe della Versilia" del 1855

Il secondo rilievo è invece allegato alla pubblicazione del Simi del 1855 “Sull'Alpe della Versilia”, ove nuovamente la grotta viene descritta. Ma anche questo rilievo, oltre a essere molto meno preciso e dettagliato del primo, non sembra della mano del Simi. Del 1877 è la relazione di Nicola Battelli che si reca alla “Grotta d'Eolo” con i soci del Club Alpino Apuano Versiliese di Pietrasanta costituito in quell'anno, e che arriva fino al Pozzo Bertarelli.

La fama della grotta si diffonde soprattutto nell'ambiente del CAI e in quello universitario. E infatti tra i primi visitatori troviamo il Signor Geta Bichi della Stazione Alpina di Lucca che cita l'Antro del Corchia assieme alla Grotta dei Colombi dell'Isola Palmaria e alla Tana a Termini. Inoltre ci informa che era chiamata anche col nome di “Grotta del Delfino”.

Tra gli illustri visitatori Federico Augusto di Sassonia la cui visita viene ricordata con una lapide all'Albergo “Faro Alta Versilia” di Levigliani:

Federigo Augusto Re di Sassonia / dell'opere mirande della Natura / contemplatore sapiente / il 30 luglio 1853 / scendeva la Pania visitava l'Antro di Corchia / e nel transitare per Levigliani / l'ospitalità del Gonf. Angiolo Simi / cortese aggradendo / degnava onorare di sua presenza / quest'umile abitazione / prendendovi cibo e riposo.

E probabilmente la visitano anche Targioni Tozzetti e Igino Cocchi.

Poi un lungo silenzio, almeno fino al giugno del 1900 quando Luigi Vittorio Bertarelli assieme a tre montanari visita il ramo di destra fino al pozzo che porta il suo nome, discendendolo per 10 m fino a un terrazzino. La discesa viene completata dai fiorentini nel 1935 per una profondità di 115 metri. Interessante poi il lavoro di Brian e Mancini del 1913 in cui si parla anche della “Buca d'Eolo” e della sua fauna. E solamente nel 1914 si ha una gita sociale della Sezione fiorentina del CAI, guidata da Giovan Battista De Gasperi, al ramo di sinistra e alla vetta del monte. Ancora un vuoto fino al 1920 quando la Sezione fiorentina del CAI programma un'uscita alla Grotta d'Eolo senza poi effettuarla e finalmente Ferrari, Martini e Folini del CAI e del CAF che nel 1923 giungono fino al Pozzacchione e fanno il rilievo di quel tratto o ramo di destra.

«Questa 3° Galleria si apre circa dopo 20 metri dall'apertura della Grotta, con un salto di m. 2.80 che sembra abbia origine da una frana. Disceso di pietra in pietra questo breve dislivello, sempre in direzione N.E., si apre una spaziosa galleria a fondo arenoso la cui altezza non fu possibile giudicare poiché i mezzi d' illuminazione a nostra disposizione ( torce a vento, lampade da minatori ) non erano sufficienti a rischiarare la volta. Questo tratto di galleria – circa 25 metri – è il più uniforme dell'intero percorso, le sue pareti sono verticali e lisce per la corrosione delle acque, salvo nella parte superiore ove appaiono ricche di crepacci e stalattiti.

Detta galleria immette in un ampio salone la cui volta rovinata ha riempito di grossissimi blocchi la superficie del salone in modo da renderne difficile la traversata per raggiungerne il prolungamento. Questo breve percorso deve essere affettuato attraverso piccoli vani esistenti fra masso e masso, sovente carponi, fino a raggiungere, risalendo la frana, la parte opposta del salone ove trovasi un salto di roccia di m 6 che immette nel proseguimento della galleria che piega a N. – N. E. Si percorrono ancora 20 metri in un angusta galleria la cui conformazione differisce totalmente dal primo tratto, il suolo è completamente invaso di detriti e da qualche stalammite che rendono alquanto difficoltosa e lenta la marcia. Le pareti e la volta presentano serio pericolo a causa di grossi blocchi che minacciano un'imminente caduta. Da qui si apre uno spazioso androne che presenta una forte pendenza e che a mezzo di una strozzatura comunica con un altro salone più basso che, a sua volta, ha termine su di un salto di m 12. Pochi metri prima di giungere alla strozzatura del suddetto salone all'altezza di circa 3 metri dal suolo apresi una controvolta che estendendosi sulle due camere termina anch'essa sul salto di cui poco prima parlavamo. Con non facile discesa a mezzo corda si raggiunge il sottostante corridoio che si prolunga per pochi metri e cioè fino al salone più ampio dell'intera Grotta che raggiunge i 35 metri di larghezza per 10 di lunghezza, ma che ha tutte le caratteristiche del primo salone nonché una maggiore quantità di colossali blocchi staccatisi dalla volta che permettono di risalirli per un dislivello di m 10. L'altezza della volta è di m 40 circa. Questo salone è ricchissimo di caratteristiche erosioni prodotte dall'azione dell'acqua, da grosse stalattiti e stalammiti. L'altimetro porta la quota 1040. Continuando per strettissimi e caratteristici passaggi si discende un po' per ritrovare l'imbocco della galleria che si prolunga spaziosa per circa 25 metri per poi restringersi improvvisamente ed in modo tale da non potervi più camminare sul fondo ma bensì a gambe divaricate sulle sue pareti.

Planimetria del Canyon fino al Pozzacchione di Martini del 1923

Qui abbandoniamo la Sig.na Ferrari, impossibilitata a proseguire, col fratello Aldo e vari altri componenti la comitiva che ritroveremo solo al ritorno. La marcia continua faticosamente e con lentezza approfittando anche con le mani di tutti i possibili appigli che possono facilitare il cammino. Di particolare interesse è la conformazione di questo tratto per le sue pareti ricoperte di una fioritura di piccole stalammiti che, accavallatisi l'una sull'altra, formano dei grappoli originali; trovansi pure estesi tratti di stalammiti a forma di piccolissime palline.

Percorsi 45 metri la galleria si allarga prosegue senza particolari degni di nota fino ad un nuovo allargamento ove sulla parete sinistra e all'altezza di 2 metri si trova un ripiano con una piccola polla di acqua da noi utilizzata durante una frugale colazione. In questo punto ci troviamo a quota 1020.

Continuammo il cammino alternativamente sulle due pareti fino ad incontrare dopo una quarantina di metri una frana che ha ostruito questa non larga galleria costringendoci ad ancorare una corda per superare un salto di metri 4 dopo che la galleria prosegue allargandosi e tendendo a rialzarsi raggiunge un nuovo salone.

Appena entrati una forte e fredda corrente d'aria diretta verso l'esterno della grotta ci colpisce spengendoci le torcie e le lampade elettriche. Incuriositi per questo fatto visitiamo attentamente ogni parte del salone dove non troviamo che due pozzi alquanto stretti e relativamente profondi con rigature elicoidali originalissime dai quali però non proviene affatto alcuna corrente di aria. Non appena usciti da questo androne e proseguito il cammino nella galleria questa corrente cessa immediatamente tanto da poter tenere comodamente acceso un cerino. Qua ci troviamo a quota 1020 e la galleria piega immediatamente a E.N.E. divenendo piana e ben larga per poi, dopo circa 40 metri restringendosi, ci fa trovare di fronte a un bivio la cui diramazione di destra sale rapidamente fino a ricongiungersi con la galleria di sinistra ad una altezza di 3 metri. Proseguendo la galleria di sinistra, che è alquanto stretta e altissima, dopo una sessantina di metri si sbocca ancora in un altro salone nel quale apronsi altre due gallerie.

La galleria di sinistra il cui percorso è abbastanza difficoltoso, sia per la ristrettezza delle pareti sulle quali dobbiamo camminare approfittando di ogni più piccola sporgenza sia per la loro levigata superficie, si giunge ad un salone terminale molto ampio dove nel suolo, per il continuo stillicidio, si è formato un piccolo e limpidissimo laghetto. Le sue pareti sono verticali e ricoperte di uno strato calcareo molle. Il soffitto è a una altezza di circa 30 metri. Ritornati al salone dove si dipartono le due ultime diramazioni e proseguendo per quella destra, con ripida salita raggiungemmo l'apertura di un'angusta galleria che si apre sulla sinistra di questa diramazione e che dopo circa 5 metri si ricongiunge alla sottostante galleria visitata (diramazione sinistra) ad un'altezza di 23 metri. Proseguendo dopo breve cammino si raggiunge la bocca di un grandioso pozzo di forma ovale irregolare sull'orlo del quale fummo costretti a fermarci. Piantato un chiodo da roccia sul margine del pozzo con discesa a corda doppia scendemmo una viscida parete per circa 20 metri e da qui (sempre sotto un continuo stillicidio) continuammo fino a raggiungere alcuni spuntoni di roccia. Sprovvisti di corde per proseguire la visita abbandonammo l'impresa…» (T. Ferrari, A.Martini, G. Folini – 1923)

L'elmetto militare usato come casco da grotta. Si notano la candela che funge da luce frontale e il sottogola costituito da un pezzo di cordino.
La foto è stata scattata durante l'esplorazione della Tana dell'Uomo Selvatico, nelle Alpi Apuane. (particolare da una lastra del 1928)

Lo stesso anno Aldo Berzi, Michele Levi, Ugo Procacci, Piero Salvatori e Luigi Valori ripetono il percorso del ramo di destra giungendo al Pozzacchione.

Per esplorare bisogna essere gruppo e il Gruppo Speleologico Fiorentino del Club Alpino Italiano viene fondato nel 1927, con Presidente Aldo Berzi, in coincidenza con un periodo di straordinaria attività. L'ingresso del Corchia, inagibile dopo il 1924 per il franamento del ravaneto soprastante, viene riaperto nel 1933 da operai locali, dopodichè si concede alle esplorazioni dei fiorentini, i quali spostano tutto il materiale che hanno dalla Garfagnana a Levigliani di dove a mezzo della teleferica viene fatto salire fino all'ingresso della grotta. Gli esploratori alloggiano in una casetta messa a disposizione dalla Ditta Pellerano. L'esplorazione si protrae dal 27 luglio al 4 agosto del 1933.

Il Pozzacchione viene raggiunto il primo agosto. Nei giorni seguenti, disceso il Pozzacchione, superato il Salone Manaresi, gli Scivoli e il Pozzo delle Lame arrivano fino alla sommità del Pozzo del Portello a –228 m, e da lì risalgono eseguendo il rilievo.

Siamo agli albori del Gruppo Speleologico Fiorentino.
L'attrezzatura è ancora primitiva: scale larghe e pesanti, con i cavi di canapa e i gradini di legno.
Discesa del primo pozzo della Buca Larga, nel 1936

 

I goliardi(1) fiorentini riprendono l'esplorazione nel 1934, nei mesi di luglio e agosto, con una spedizione durata circa due settimane.

Discendono il Pozzo del Portello e proseguono per la Sala della Cascata, la Sala del Biliardo, la Sala del Giardino e la Sala dell'Impero ove troneggia una gigantesca stalattite dalla strana forma di un'aquila imperiale. Seguendo il corso del torrente sotterraneo lungo la Galleria Bassa si giunge al Pozzo della Gronda(2), ove viene posta in opera una grondaia per allontanare l'acqua dalla traiettoria degli esploratori; poi altri tre saltini e l'orlo di un grandioso pozzo che in pianta presenta la forma di una elle, da cui Pozzo a Elle. Poco oltre l'esplorazione viene sospesa per mancanza di materiale. Poco male: viene costruito sul posto e permette di portare a compimento l'esplorazione raggiungendo “il fondo della grotta costituito da un ampio stanzone dal fondo argilloso e in discesa, terminante in un lago dalle acque limpidissime profondo otto metri e della lunghezza di trenta metri circa”. Il Lago Terminale.

il rilievo della spedizione del 1933 fino alla sommità del Pozzo del Portello a –228

La profondità raggiunta viene valutata in metri 533(3) al secondo posto tra gli abissi più profondi del mondo. Risalendo, durante le operazioni di recupero del materiale, a circa – 300 m, viene scoperta ed esplorata una diramazione fossile ricca di stalattiti, stalagmiti e limpidi laghetti. Si tratta della Galleria delle Stalattiti.

(1) Il GSF era composto principalmente da studenti universitari.
(2) Il Pozzo della Gronda nel rilievo del 1934 viene rilevato come Pozzo dell'Acqua e denominato Pozzo della cascata.
(3) Questa prioma misurazione del 1934 viene poi corretta in 541 m nell'anno successivo.

Sezione e planimetria della spedizione del 1934 fino al Lago Terminale a –541

Non è fuori luogo prendere in considerazione i materiali e l'abbigliamento degli speleologi. Essi indossano elmetti della guerra ‘15-‘18, tute da meccanico, cordini alla vita con moschettoni di ferro per la sicura, corde di canapa che con l'umidità si irrigidiscono e divengono poco maneggevoli, scale pesantissime costituite da corde di canapa in cui col “tappalani” venivano allargati i trefoli per inserirvi i gradini del diametro di 17 mm costituiti da manichi di scopa, larghi abbastanza per potervi appoggiare i due piedi, illuminazione a carburo trasportato a mano. Con questi materiali “gli speleologi si sono dovuti assoggettare a lunghissimi turni di lavoro, trascorrendo sempre più di 24 ore in grotta ogni discesa, fino a un massimo di 42 ore consecutive, che richiesero anche un bivacco ad oltre 400 metri di profondità. Per la sola esplorazione e rilievo della parte terminale, furono necessarie 7 discese di tale durata, poiché la difficoltà di trasporto e di adattamento del materiale per superare gli ostacoli che man mano si incontravano, non permettevano di guadagnare più di 40 – 50 metri di profondità in media, ogni discesa, e l'incontro di nuovi salti o pozzi, che richiedessero l'uso di altro materiale, costringeva spesso gli speleologi al ritorno per organizzare il giorno dopo una nuova spedizione” (GSF – CAI). L'impresa è tale che Sua Eminenza Manaresi, cui viene intitolato il grande salone dopo il Pozzacchione, gratifica il Gruppo con un contributo di 2000 Lire. Le autorità speleologiche del momento gratificano il GSF con i più sentiti encomi e congratulazioni.

3 aprile 1955. Da sinistra: Tom Morgan, Beppe Occhialini, un cavatore, Arrigo Cigna,
e in ginocchio Giulio Cappa. (Foto G. Cappa, GGM)

Nuove esplorazioni

L'Antro del Corchia cade nell'oblio, complice la guerra e la frana del ravaneto soprastante. Solamente dopo il 1950 l'attività esplorativa riprende un po' in tutta Italia. Nello stesso periodo la Ditta Pellerano, proprietaria delle Cave Marmifere del monte Corchia, su sollecitazione di vari gruppi speleologici, fa praticare nel fianco della montagna una galleria artificiale di una settantina di metri non lontano dall'ingresso attuale. Così nel 1955 anche l'Antro del Corchia torna a essere visitato: nel mese di aprile Beppe Occhialini, già partecipante alla spedizione del 1934, è al Corchia con Giulio Cappa e Arrigo Cigna del Gruppo Grotte Milano (GGM) nonché alcuni soci del GSF, ripete la discesa del Pozzo Bertarelli, controllandone la profondità (che risulta a loro di 120 m) e facendo il rilievo della caverna sottostante. Ma la cosa non ha sviluppi. Un anno dopo, 1956, nel mese di agosto la Società Adriatica di Scienze Naturali (SAS), con lo scopo di fare osservazioni geomorfologiche simili a quelle fatte nella Spluga della Preta, effettua una spedizione di sette giorni, con undici uomini, durante la quale arriva fino a –390 m. Si rendono conto delle difficoltà esplorative e si preparano per una seconda visita che avviene, grazie a un contributo del CNR, nel settembre del 1958. Pongono un campo base a – 256 m e da lì si avviano verso il Lago Terminale che però, nonostante i 14 uomini in azione, non raggiungono. Ma non desistono e organizzano una terza spedizione dal 10 al 16 agosto del 1959 che, forte di 12 uomini, giunge al Lago Terminale e proseguono per una grandiosa galleria percorsa da un fiume sotterraneo che seguono per circa 150 metri, arrestandosi sulla sommità della Prima Cascata, a una profondità che valutano in –585 m. Ritengono impossibile proseguire. Il Gruppo Speleologico Bolognese del CAI (GSB), per caso, nel febbraio del 1960 visita la diramazione di sinistra e scende alcuni saltini del ramo di destra fermandosi al canyon. Rimangono impressionati dalla vastità degli ambienti e decidono di organizzare una spedizione per il 19 e 20 marzo. Giunti a Levigliani vengono informati dal Sig. Vannucci, sovrintendente per la Ditta Pellerano ai lavori delle cave, che erano arrivati altri speleologi dello Speleo Club Milano (SCM). Infatti li incontrano alle case delle cave. I due gruppi decidono di effettuare l'esplorazione assieme. I milanesi partono per primi e armano il Pozzacchione con scale leggere(4) e solo alle 18 tutti i partecipanti si ritrovano nel Salone Manaresi. Mentre i milanesi decidono di riposarsi, il gruppo dei bolognesi assieme a un milanese prosegue fino al Portello che viene disceso dal solo Pasini che percorre la Galleria Alta, passando dalla Sala della Cascata alla Sala del Biliardo, del Giardino e dell'Impero per arrestarsi su un pozzetto di una decina di metri. Rientrano al campo del Salone Manaresi e due ore dopo i milanesi, che si erano riposati fino ad allora, assieme ad un uomo del GSB, Gian Carlo Pasini, si rimettono in marcia verso il Pozzo delle Lame e oltre. Armano con 10 metri di scale il pozzetto su cui si erano arrestati poche ore prima ed entrano nella meravigliosa Galleria delle Stalattiti. La percorrono e arrivano al Pozzo della Gronda, ove si fermano, avendo già superato il tempo a disposizione, e rientrano lasciando la grotta armata. Recuperano una corda di canapa da 12 mm utilizzata al Pozzacchione, lasciando però in grotta tutte le corde di lilion(5).

(4) Le scale leggere sono costituite da due cavi di acciaio del diametro di 3,7 mm e da gradini di anticorodal o avional del diametro di 10 – 14 mm e della lunghezza di 15,5 cm. Vengono probabilmente “inventate”, ma certamente impiegate spesso dai francesi (marsigliesi, lionesi ed altri), già nei primi anni ‘50 (Pierre St. Martin, ecc.). Al Corchia nel 1960, furono utilizzati due tipi di scale: quella medio-leggera (cavo 4 mm, peso 2 Kg/10mt), con tiranti in durall e quella ultra-leggera (cavi da 1,6 a 1,9 mm, peso med. 1 Kg/10mt), costruite dal GSB. Furono inoltre impiegate quelle di tipo leggero (cavi da 3 mm, peso 1,5 Kg/10mt), costruite dallo SCM su modello francese. Complessivamente furono impiegati 325 metri di scale (compresi spezzoni vari già presenti in grotta lungo il canyon) e 352 metri di corde da 12 mm, essenzialmente di canapa, canapa da roccia e manilla, nonché qualche decina di metri di corde di lilion da 10 mm.
(5) Le corde di lilion sono le prime corde di fibra sintetica ad apparire sul mercato prodotte dalla Ditta Snia Viscosa. Dopo compaiono le corde in nylon e poi tutte le altre. Il loro utilizzo viene pensato per l'alpinismo ma la speleologia le fa proprie immediatamente.

Prima di ripartire i milanesi spiegano ai bolognesi il vero scopo di quella ricognizione: avendo avuto notizia delle spedizioni effettuate dalla Sezione Geo Speleologica della SAS di Trieste e sembrando che la squadra di punta avesse scoperto e seguito un grande corso d'acqua sotterraneo, fino a una cascata ritenuta insuperabile e a una profondità di 600 m, decidevano di verificare.

Gli uomini dei due gruppi si accordano per non divulgare quanto stanno facendo e per proseguire le esplorazioni assieme. L'esplorazione riprende il 14 aprile quando Luigi Zuffa, Giulio Badini e Giancarlo Pasini perfezionano attacchi, piazzano carrucole, avanzano altro materiale fino alla parte sabbiosa della Galleria delle Stalattiti ove pongono il campo base e si ritirano poi alle case delle cave. La mattina del 15 aprile vengono svegliati da Italo Samorè che annuncia l'arrivo degli uomini dello SCM, per la sera. Stante il poco tempo a disposizione decidono di non aspettare e la mattina del 16 aprile, divisi in due squadre, tornano all'attacco. Pasini e Zuffa avanzano armando il Pozzo della Cascata o della Gronda fino al primo salto del Pozzo a Elle, poi tornano al campo dove Badini e Samorè non sono ancora arrivati. Si sono fermati a bivaccare sopra il Pozzacchione dove hanno portato gran parte del materiale e dove la mattina seguente, 17 aprile, sono svegliati dai milanesi (Delio Manini, Danilo Mazza e Gianni Pasini) con cui arrivano poi al campo base. Pasini e Zuffa ripartono con altro materiale armando il primo e il secondo salto dell'Elle, lo stesso grande fusoide del Pozzo a Elle, gli altri due o tre saltini lungo il corso del torrente fino alla sala del Lago Terminale.

Trovano il lago sifone raggiunto dai fiorentini nel 1934, su una parete scolpita la sigla GSF, e in una piccola nicchia, una bottiglietta piatta dal tappo incerato, in parte riempita d'acqua e contenente un biglietto. Spaccata la bottiglia, fanno asciugare il pezzo di carta tenendolo davanti alla parabola di un fotoforo frontale ad acetilene; … Sul foglietto è scritto a matita quanto segue:

«Il presente annulla i precedenti. W l'Italia» e sotto «Occhialini, Racah, Boris, Moschella, Tesei, Michelagnoli, Checcacci». Nell'altra facciata: «Il giorno 11 settembre 1934/XII, gli speleologi fiorentini qui giunsero carichi di fango, di fame e d'acqua. Ciaranfi, Berzi, Barbieri, Rafi» e le sigle «G.S.F., G.U.F., A.N.A.».

Proseguono verso Sud Est, dove si dirige la corrente del lago sifone, in una galleria percorsa dall'acqua e da cui si sente un rombo lontano. Seguono la galleria per una ventina di metri e non avendo materiale idoneo decidono di tornare indietro. Al campo base ritrovano tutti gli altri.

Il Lago Ingrid, nell'esplorazione del 1960. (Foto G. Pasini, SCM)

Il mattino seguente, Domenica di Pasqua, con due materassini pneumatici, scale, corde e viveri parte la squadra di punta (D.Mazza, G. Pasini, L. Zuffa, G.C. Pasini) seguita dai rilevatori (G. Badini e I. Samorè) e Delio Manini che rimane per varie ore sul Pozzo a Elle per assicurare i compagni nella risalita.

Al Lago Terminale, dopo un tentativo di Mazza, che finisce in acqua,viene deciso di fare avanzare solamente L. Zuffa e G.C. Pasini. Il fiume che percorrono è impetuoso, con piccole rapide, il frastuono dell'acqua assordante, le pareti della galleria alte dai 10 ai 15 metri; il fiume termina sull'orlo di una cascata, ove presumibilmente si erano fermati i triestini nel 1959. Viste le difficoltà di discendere la cascata, Zuffa, che praticava anche l'alpinismo, cerca una via di roccia e la trova sulla parete destra: un'ampia finestra che si apre qualche metro più in alto e che è l'imbocco di una galleria fossile che porta a una grande sala e alla sommità di una Seconda Cascata. Armata la cascata con 15 metri di scale viene discesa fino a un altro saltino di 5 metri che solo Zuffa discende avanzando per un altro centinaio di metri. Poi i due ripiegano, anche perché hanno esaurito il materiale!

Alle 20 sono di nuovo al Lago Terminale dove ritrovano i rilevatori e poi via via tutti gli altri, finchè tutto il gruppo è riunito sopra il terzo salto del Pozzo a Elle. Lungo il tragitto del ritorno piccoli segni premonitori fanno ipotizzare un ingrossamento del fiume sotterraneo e dei suoi affluenti, e infatti il 2° salto dell'Elle viene fatto sotto gli spruzzi d'acqua della cascatella e, sotto il Pozzo della Cascata, le scale sono parzialmente investite da un getto d'acqua. Una volta risalito anche questo pozzo, il campo base! Chi raggiunge l'uscita durante la notte, chi può permettersi di dormire e proseguire il giorno successivo, 18 aprile. Al campo base vengono lasciate scalette leggere, qualche corda di lilion, due telefoni con 5 bobine da 100 metri di cavo telefonico e pochi viveri in scatola.

Dallo sviluppo del rilievo, dalla base del Pozzo a Elle all'inizio del fiume, risulta che il Lago terminale dei fiorentini si trova a –580 metri anziché a –541 come dal rilievo del GSF e che quindi la punta era arrivata, seguendo il fiume, a circa 600 metri di profondità.

Per proseguire l'esplorazione necessita una grande spedizione che viene programmata per luglio e poi spostata ad agosto, dall'8 al 14. Il 7 agosto ritrovo a Levigliani e l'8 agosto entrata degli otto esploratori (Danilo Mazza, Gianni Pasini, Italo Samorè (SCM),Giulio Badini, Giordano Canducci, Mauro Raimondi, Luigi Zuffa e Gian Carlo Pasini (GSB – CAI). Dopo le solite faticacce per avanzare il materiale alle ore una del 9 agosto arrivano al campo base. Si muovono alle 15,30 del 9 agosto e giungono all'inizio del fiume alle 20,30. Questa volta avanzano in quattro con un canotto per attraversare i laghi, vari rotoli di scalette, tre corde in lilion da 40 metri, viveri e materiale fotografico. Anche il livello dell'acqua del fiume è molto diminuito rispetto a Pasqua.

La prima cascata viene evitata sfruttando quello che da qui in avanti viene chiamato “Passaggio Zuffa”; la seconda cascata viene raggiunta con una discesa in scala di circa 7 metri con atterraggio su un roccione emerso; poi viene percorsa una grandiosa galleria fino alla terza cascata che viene armata con 10 metri di scale. Per evitare di immergersi nel lago viene calato un canotto dall'alto in modo che chi discende dalla scala vi passi direttamente dentro. Il lago viene chiamato Marika, dal nome della figlia di Mazza. Proseguono lungo il fiume, lungo una galleria concrezionata e poco inclinata fino a un pozzetto che attraversano sulla sinistra per una piccola cengia fino a un piccolo terrazzo che termina sull'orlo di una grandiosa cascata: la Quarta. Sono le ore 4 del giorno 10 agosto e la squadra è in movimento da più di dodici ore. Dopo una breve sosta e uno spuntino la cascata viene armata assicurando ad uno sperone di roccia dieci metri di scale, che permettono di raggiungere un piccolo ripiano. In fondo alla scala legano una corda con cui è possibile scendere per altri trenta metri lungo la parete fortemente inclinata, a destra della Grande Cascata che precipita di fianco scrosciando. L'ultimo salto, di sei metri, viene attrezzato con cinque metri di scala. Seguono ancora il fiume per una quarantina di metri fino a una Quinta Cascata che viene armata con una scaletta di dieci metri. Oltre, la galleria prosegue segnata da profonde incisioni e tracce di “scallops” fino a un'ennesima cascata armata anch'essa con altri dieci metri di scale. La morfologia cambia repentinamente e presenta un canyon e un meandro fino a una saletta ove le acque scompaiono infiltrandosi nei detriti dell'alveo e le pareti sono parzialmente concrezionate. Sono le 7 di mattina del 10 agosto e gli esploratori sono in movimento da 15 ore. La profondità raggiunta è stimata in 805 metri.

La Seconda Cascata, nella esplorazione del 1960. (Foto G. Pasini, SCM)

La Quarta Cascata o Grande Cascata, nella esplorazione del 1960. (Foto G. Pasini, SCM)

Dopo quasi un secolo di tentativi e ardimentose esplorazioni, la misteriosa “Buca del Vento” ha finalmente svelato il suo ultimo segreto!

Scopriremo poi che invece si trattava del suo primo segreto: la montagna vuota aveva rivelato solo i suoi spazi più evidenti.

Alle 16,20, lasciando tutti i pozzi armati per i rilevatori, rientrano al campo base che hanno lasciato da 25 ore. Naturalmente ricca cena, si fa per dire, e tanto entusiasmo. Poi un lungo sonno fino alle 9 dell'11 agosto. Alle 15,10 dell'11 agosto squadra rilievo e squadra disarmo lasciano il campo per arrivare nella cavernetta terminale alle 20,30. Durante il rilievo la squadra disarmo ha tempo per vedere delle diramazioni secondarie nella parete Sud Est del Lago Marika e di trovare un grande ramo fossile sulla parete destra del canyon poco prima dell'ultimo lago. Sono le 6,10 del 12 agosto. Al campo base arrivano alle 13,15, dopo avere completamente disarmato. Un sonno riparatore di 18 ore per ripartire alle 14,15 del 13 agosto con oltre 30 sacchi di materiale cui se ne aggiungono altri via via che si risale e si disarma. L'ingresso della voragine viene raggiunto alle 7,45 del 14 agosto.

La grande avventura è finita

La notizia dell'impresa e il fatto che il Corchia è la grotta più profonda d'Italia, seconda al mondo dopo il Gouffre Berger di 1135 metri, viene correttamente diffusa da giornali e altri mezzi di comunicazione oltre che dalla stampa speleologica.

Il resoconto completo viene pubblicato sulla “Rassegna Speleologica Italiana” nel 1962.

L'Antro del Corchia diviene una delle grotte più frequentate dagli speleologi: da chi lo visita per una breve gita a chi pensa che non tutto sia ancora stato visto. Gli speleologi bolognesi e milanesi stessi vogliono vedere dove vada a finire il Pozzo Franoso, a lato del Salone Manaresi. Dopo una ricognizione, effettuata il 4 e 5 marzo 1961, quando Danilo Mazza lo discende e giunge a una galleria dalla quale sente un lontano rumore di acqua, il GSB, assieme a uno speleologo del CAI-UGET di Torino, organizza una terza spedizione dal 15 al 18 luglio. Posto il campo nel Salone Manaresi discendono il Pozzo Franoso, che poi così franoso non è, arrivano fino al Pozzo del Portello e alla sommità della Sala della Cascata. Percorrono altre vie, strette e malagevoli, vengono presi da dubbi tanto da ridiscendere il Pozzo Bertarelli. Alla fine si rendono conto di avere scoperto un nuovo itinerario che collega il Pozzo Bertarelli alla Sala della Cascata seguendo il corso inesplorato di un torrente.

Oggi sappiamo che questa parte dell'esplorazione apriva le porte al collegamento tra l'Antro del Corchia e la Buca del Cacciatore, più tardi ribattezzata Abisso Fighiera, per il percorso poi denominato “Valinor”.

Vita di campo. Spedizione cecoslovacca 1963: quinto giorno del soggiorno sotterraneo. (Foto F. Skrivanek)

“Fama volat” dice il poeta, così che i Cecoslovacchi della Sezione del Carso della Società del Museo Nazionale a Praga, guidati da Frantisek Skrivanek e Frantisek Kralik, assieme alla Sezione Speleologica del CAI Carrara (SSC) – con cui nel 1961 erano sul monte Sagro e nel 1962 a Campo Cecina – decidono, nel 1963, di organizzare una spedizione all'Antro del Corchia. Lo scopo dichiarato è il rilievo geologico del Monte e della Grotta. Gli speleologi cèchi sono undici, tutti geologi, mentre gli italiani solamente tre. L'equipaggiamento pesa una tonnellata comprensiva di 280 metri di scale, 400 metri di corde di nylon, 10 kg di chiodi, 100 moschettoni e tanto altro materiale tra cui tende, sacchi a pelo, fornelli e cibo. Le loro scale abbandonate si trovavano ancora in giro per la grotta assieme a grandi forme di formaggio, divenute pasto per gli insetti ipogei. Gli speleologi cèchi ricordano la permanenza per il grande impegno fisico, il coraggio straordinario e la grande quantità di materiale. Il loro soggiorno dura otto giorni: 5 per scendere e 3 per risalire. Pongono tre campi fissi, uno lungo il canyon prima del Pozzo Bertarelli, uno sopra il Pozzo del Portello e un altro nella Galleria delle Stalattiti e due provvisori. I risultati sono lusinghieri: una conferma dell'attendibilità del rilievo e una sezione geologica del monte Corchia con inclusa la sezione della grotta attraverso la quale si può seguire la successione degli strati e la tettonica dei calcari e marmi delle Alpi Apuane.

Vita di campo. Spedizione cecoslovacca 1963: raggiunto il traguardo della spedizione a 541 metri di profondità
sulle sponde del fiumiciattolo sotterraneo. (Foto F. Skrivanek)

Giungono alla conclusione che il più vecchio livello superiore (q. 1450 – 1650 s.l.m. comprendente la Buca del Cacciatore, l'Antro del Sagro e l'Abisso Revel) si era già formato nel Neocene; che nel Pliocene si formano le gallerie orizzontali di quota 1200 c.a., che costituiscono gli ingressi dell'Antro del Corchia, Abisso degli Orridi, Tana dell'Uomo Selvatico. Ritengono che la grotta geomorfologicamente corrisponda almeno a quattro livelli carsici: due livelli fossili, un livello di ringiovanimento e un livello recente. Secondo la correlazione tra fasi di sviluppo, tettonica e tipi di rocce il sistema si divide nei seguenti insiemi:

1) Sistema di gallerie orizzontali tra l'entrata e il Pozzacchione.
2) La serie dei pozzi (Pozzacchione, Bertarelli, Franoso, delle Lame, del Portello).
3) Due gallerie parallele tra la sommità del Pozzo del Portello e l'imbocco del Pozzo della Cascata o Gronda.
4) Il sistema di pozzi e gradini tra il Pozzo della Cascata e l'inizio del Fiume Vidal.
5) Le gallerie attive, percorse dal Fiume Vidal, dal Lago Terminale al fondo.

I cecoslovacchi pubblicano i risultati delle loro ricerche all'Antro del Corchia in due diverse pubblicazioni, dallo stesso contenuto, nel 1964 e 1965. La pubblicazione del 1964, oltre a una dettagliatissima relazione geologica e generale sull'andamento della spedizione, contiene una carta geologica colorata del monte Corchia, un rilievo della grotta in sezione con aggiunta anche la sezione geologica del monte e una pianta molto approssimativa con ubicati i tre campi principali, datati 1963.

La pubblicazione del 1965 ha una sola tavola con la sezione della grotta e la sezione geologica del monte in bianco nero.

Il rilievo dell'Antro del Corchia elaborato dai cecoslovacchi nel 1963


I Rami del Venerdì e i controlli dei rilievi

Dopo questa esplorazione abbiamo ripetizioni dello Speleo Club Roma (SCR), del Gruppo Speleologico Lucchese (GSLu), del Gruppo Speleologico Perugino del Club Alpino Italiano (GSPg), degli inglesi del Derbyshire Caving Club.

Ma, a dispetto di chi già asserisce che oramai il Corchia ha svelato tutti i suoi segreti, emergono altre interessanti possibilità esplorative. Durante il 6° Corso di Speleologia del Gruppo Speleologico Fiorentino, nel periodo 1–4 novembre 1968, un gruppo di corsisti con due istruttori si accampa sul “Laghetto del Venerdì”, laghetto che i fiorentini avevano già visto nel 1933–‘34, ma da allora completamente ignorato. Quando il giorno successivo arrivano i compagni, constatato che il laghetto non è conosciuto, questo viene passato a guado; presso l'altra sponda, sulla sabbia di una grande galleria, sono evidenti impronte di piedi umani. A dicembre inizia l'esplorazione dei “Rami del Venerdì”, giorno in cui viene trovato il nuovo ramo, e sempre a dicembre viene effettuata una discesa al fondo dal GSF in collaborazione con lo SCR e il Gruppo Speleologico Pipistrelli di Terni. È la quinta squadra che vi arriva dal 1960. Il fondo viene raggiunto così facilmente che si pensa ci debba essere qualcosa che non torna, anche se non si capisce che cosa. Ad ogni buon conto si decide di organizzare una spedizione che controlli il rilievo.

Nel periodo pasquale de1 1969 prosegue l'esplorazione dei “Rami del Venerdì” e nel contempo si prepara la spedizione di luglio per il controllo del rilievo che si arricchisce di altri contenuti. La spedizione avviene dal 19 luglio al 3 agosto e vi partecipa lo SCR e il GSF. Per caso nello stesso periodo avviene anche la missione luna della NASA e il primo uomo mette piede sul suolo lunare.

Conclusa la spedizione la restituzione del rilievo dà una profondità di 670 metri e una sostanziale corrispondenza col rilievo dei fiorentini del 1934 fino a –541. Siccome siamo troppo distanti dai –805 metri ufficiali si pensa di effettuare un nuovo controllo appena possibile.

Parallelamente proseguono, guidate da Luciano Salvatici, le esplorazioni del “Rami del Venerdì” del quale viene completato il rilievo nel dicembre. Abbiamo appurato che le impronte trovate al di là del laghetto appartengono agli inglesi del Derbyshire Caving Club guidati da David Sinclair e Stan Gee.

Una cavalleresca gara si instaura tra gli esploratori: gli inglesi completano per primi l'esplorazione del ramo fossile, mentre nel ramo attivo discendono il “Pozzo dell'Incontro (20 m), superano una rapida lungo una stretta forra di oltre 300 metri di lunghezza per arrivare al “Pozzo Queen Elisabeth II” (40 m), fino al “Pozzo del Rombo” (10 m), e al “Pozzo della Delusione” (15 m). Qui il fiume in piena ferma gli amici inglesi e i nostri, che non perdono battuta, in periodo di magra discendono il pozzo e proseguono giù per il successivo “Pozzo del Caos” (30 m) ritrovandosi in una enorme sala ingombra di massi. Secondo la saggia massima che il capo spedizione Luciano Salvatici amava ripetere “tra massi grossi passano topi grossi” i fiorentini trovano un passaggio fossile, un “laminatoio” lungo una quarantina di metri che dà sul “Pozzo Davanzo” profondo 40 m (novembre 1970). Ma una variabile inaspettata si inserisce in questa gara: il GSB che, partito per ultimo, supera tutti e arriva per primo al “Lago Paola” (1971). Il fiume ritrovato dopo il Davanzo viene battezzato “Fiume Vianello” e torna a rintronare gli esploratori e a formare un'ultima cascata (7 m) fino a una galleria suborizzontale, allagata dal fiume, che porta a un grande lago, il “Lago Paola”, che conclude così a – 530, con un altro sifone, anche questa parte della grotta.(6).

(6) Il lago Paola è a quota 640 m s.l.m. Il dislivello dall'ingresso è di - 485 metri.

L'Ingresso Basso, sopra le Voltoline, scoperto nel 1969. (Foto F. Utili, SCF GSF)


L'anno 1969 è caratterizzato anche dell'individuazione di un ingresso basso, lungo il Canale delle Volte. Siamo tutti convinti che l'Antro del Corchia non possa avere un solo ingresso e le ricerche, pur continuando all'interno, vengono indirizzate anche all'esterno. Da tempo i cavatori ci segnalano che quando piove una gran massa d'acqua si riversa nel canale delle Volte ma che questa non arriva alla strada, inghiottita a metà, poco sopra al sentiero delle Voltoline che porta al Rifugio Del Freo. La situazione viene studiata “a tavolino” e ci si rende conto che siamo vicini al “Salone Saragato.” I fiorentini trovano la fessura in cui si riversa l'acqua e cominciano a disostruirla da massi e detriti. Tira una grande corrente d'aria. La disostruzione va avanti per oltre un anno.

Un nuovo controllo della profondità si fa nel luglio del 1970. I gruppi che collaborano questa volta sono: il GSB, lo SCR, il GSF, il Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese (GSAV) e il Gruppo Speleologico Lucchese. Gli scopi di questa spedizione si rivolgono al controllo del rilievo, all'immersione nel “Lago Sifone“, alla documentazione fotografica, alla meteorologia, alla biologia e alla colorazione del fiume Vidal. Gli obiettivi vengono raggiunti felicemente, esclusa l'immersione perché nel trasporto le bombole di aria compressa hanno perduto completamente il loro contenuto. Il nuovo rilievo dà una profondità di 664 metri, per cui, fatta la media con la precedente misurazione, si stabilisce che la profondità dell'Antro del Corchia sia di 668 metri. A novembre ancora una puntata sul fondo e una colorazione del Fiume Vidal per poterne individuare la risorgente. Fluocaptori sono dislocati in varie sorgenti finchè a Cardoso si riversa un fiume smeraldino. La colorazione ha avuto successo.

L'entusiasmo per i risultati ottenuti e i continui progressi galvanizzano gli esploratori del GSF che si ficcano in un buco lungo il Canyon, ove tutti sono passati per anni ignorandolo, il “Pozzo del Fuoco” del Ramo della Fatica (1971). Oggi sappiamo che si tratta di una diramazione malagevole ma al centro – col Pozzo Bertarelli, il Salone Manaresi e il Pozzo Franoso – di una zona cruciale per gli sviluppi dell'Antro.

In un altro settore tocca al Gruppo Speleologico Empolese (GSE-LASE) forzare la strettoia dell'Ingresso Basso che immette nella “Galleria del Serpente” e arrivare al “Pozzo Empoli”, alla cui base si spalanca la “Galleria Franosa”. Si tratta di una pietra miliare nell'esplorazione dell'Antro del Corchia. Questo ingresso permette un più agevole accesso e la possibilità di più facili e ulteriori esplorazioni. Si apre anche l'era della traversata Buca d'Eolo – Ingresso Basso che fa conoscere l'Antro a più generazioni di speleologi. Molti corsi di speleologia effettuano l'uscita conclusiva con la traversata.

C'è molto lavoro da fare e il 1972 viene dedicato all'approfondimento, al controllo e allo studio dei risultati ottenuti.

Un'altra importante esplorazione si aggiunge ai successi precedenti col raggiungimento del fondo del Ramo della Fatica nel gennaio-febbraio 1973 da parte del GSF e dello Speleo Club Prato (SCP). Oltre a questo è rimasto un problema in sospeso: i bolognesi hanno raggiunto il Lago Paola, i fiorentini pure, però nessuno ha pensato a completare il rilievo. È ancora il GSF a farsene carico organizzando un'apposita spedizione. Varie vicissitudini si susseguono nell'arco del soggiorno sotterraneo, ma alla fine l'obiettivo è raggiunto e il sospirato rilievo portato alla luce assieme a 26 sacchi di materiale che amici di mezza Italia aiutano ad avanzare all'esterno dal Pozzacchione. Nella stessa spedizione vengono riviste anche tutte le diramazioni fossili al di sopra del fiume Vidal dal Lago Sifone al fondo. In particolare si cercano e si trovano la “Salle des Toulonnais”, tra il Lago Ingrid e il Lago Marika, e la “Salle des Marbres”.

Rilievo dei Tolonesi dal Lago Terminale al fondo

Anche altri si cimentano nell'Antro delle meraviglie e le loro ricerche, nel 1975, sono coronate da successo. Rilevano infatti le Gallerie Fossili tra il Lago Ingrid e il Lago Marika, parte delle quali già segnalate dai bolognesi nel 1960 e confermate dai tolonesi nel 1973. Sono gruppi nuovi: Gruppo Speleologico Maremmano, Speleo Club Pontedera, Gruppo Speleologico Pisano e Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese.

Rilievo dei Saloni Fossili sopra il fiume del Gruppo Speleologico Maremmano

Nella ricerca di gallerie fossili si cimenta, nel 1987-88, anche una squadra torinese e bolognese che percorre alcune gallerie con accesso dal fondo della Grande Cascata, ma senza trovare nuovi collegamenti.

Nel 1975 le esplorazioni vengono indirizzate sulla vetta del monte Corchia alla Buca del Cacciatore: gli uomini del GSF disostruiscono ed esplorano finchè, bloccati dalla neve e da un semiasse rotto, si ritirano con l'intenzione di riprendere le esplorazioni nella primavera successiva. Non fanno a tempo che qualcun altro pensa bene di “piratare” la loro grotta che viene anche ribattezzata “Fighiera”. I “pirati” sono torinesi. Dal fatto nasce una forte rivalità che condizionerà i rapporti futuri. I fiorentini, molto delusi, spostano la loro ricerca all'interno del monte e proprio sopra il “Pozzo del Fuoco” trovano un cunicolo ascendente (ma più che di cunicoli si tratta di passaggi articolati un po' stretti ma non troppo) che porta alla base di un grande pozzo, il “Pozzo Nettuno” da cui scende una cascatella, e il “Pozzo dell'Infinito” che prosegue verso il basso.

Rilievo di Marco Marchetti, 1930

Nel 1976 il Pozzo dell'Infinito viene esplorato dal Gruppo Speleologico Pipistrelli di Fiesole (GSPF), con la partecipazione di alcuni soci del GSF, che appurano il ricongiungimento con il meandro che passa sotto il Pozzo Bertarelli. In questa zona vi sono tre pozzi paralleli sui 100 metri. Il più a monte parte a metà del Pozzo Nettuno e genera un meandro che passa sotto il Pozzo dell'Infinito, poi sotto il Bertarelli e infine va a sfociare nel Portello.

Nel 1977 i bolognesi del GSB iniziano a risalire il Pozzo Nettuno ed escono all'aperto da un terzo ingresso. L'anno successivo riescono ad avanzare ancora di qualche metro e a trovare un quarto ingresso. La profondità fra l'ingresso superiore e il fondo è di 871 metri, cui va aggiunto un dislivello positivo di 79 metri per un totale di 950 metri. L'Antro del Corchia riconquista il primato di grotta più profonda d'Italia.

I Rami dei Fiorentini

Nel 1978 la situazione delle esplorazioni sul monte Corchia trova i torinesi del Gruppo Speleologico CAI – UGET che esplorano la Buca del Cacciatore ridenominata Fighiera, i bolognesi che risalgono i Rami degli Ingressi Alti, i fiorentini che sdegnati stanno a guardare. Riprendono comunque le esplorazioni del Ramo del Fiume, trovando ed esplorando nuove diramazioni sopra il Pozzo del Caos.

Rilievo della Buca del Cacciatore

Due colorazioni delle acque della Buca del Cacciatore dimostrano l'esistenza del collegamento idrologico con il Corchia: il collettore principale risulta l'asse Ramo dello Gnomo – Fiume Vianello – Fiume Vidal. I fiorentini, non avendo digerito di essere stati cacciati dal Cacciatore, di cui avevano già eseguito il rilievo fino a –250 assieme allo Speleo Club Firenze (SCF), rilievo pubblicato sulla rivista “Speleo”, certi del collegamento idrologico attraverso la colorazione, con in mano il rilievo fatto dagli altri di cui si erano fortunosamente impossessati, riprogrammano una ulteriore risalita della cascata sopra il Lago Nero con l'idea che da lì si possa trovare un collegamento con la sovrastante Buca del Cacciatore. Progettano anche di immergersi di nuovo nel Lago Nero. Il Lago Nero, scoperto durante le esplorazioni della parte attiva del Ramo del Venerdì, è stato più volte oggetto di tentativi di passaggio e di immersione subacquea senza risultati, per cui l'attenzione si sposta verso la sovrastante cascata. Nel corso dell'avanzamento del materiale della spedizione del GSF del 1973, stante lo scarso apporto idrico, si tenta la risalita per una diecina di metri dopo i quali si ritiene opportuno non procedere ulteriormente. L'idea però, che oltre la cascata possano celarsi altri ambienti, è ben presente nella testa dei fiorentini, in particolare in quella di Stefano Merilli che il 1 novembre 1979, assieme a Stefano Goretti, prima e Carlo Carletti con Paolo Mugelli e Pierangelo Giorgetti nei giorni successivi, parte deciso ad avere ragione della cascata. La scarsità d'acqua e le capacità degli esploratori permettono di risalire 50 metri di parete, bagnata e intrisa di fango, da cui il nome Pozzo della Fangaia, che però apre le porte su un mondo nuovo: i Rami dei Fiorentini. Oltre 10000 metri di gallerie e 676 metri di risalite. Dodici anni di arrampicate concluse con l'uscita dalla Buca dei Gracchi nel 1991. Si tratta della più lunga e impegnativa campagna speleologica condotta nelle Alpi Apuane. La risalita del Pozzo della Fangaia è l'inizio di una serie entusiasmante di esplorazioni che impegnano il GSF per diversi anni. L'euforia per la novità e il resoconto entusiastico dei primi salitori incoraggiano molti a cimentarsi nelle esplorazioni, che però si prolungano nel tempo, ben sei anni, come parallelamente aumentano i chilometri percorsi e le ore di permanenza. Se poi si aggiungono i problemi familiari e di lavoro che nel frattempo possono sorgere non meraviglia che dai molti dell'inizio, i cui contributi sono stati fondamentali per il proseguimento delle esplorazioni, solo pochi concludano il percorso esplorativo.

Nel 1979 e 1980, oltre la Fangaia, viene risalito il Pozzo delle Pisoliti, trovata la Sala del Pipistrello e la Galleria Roversi, dove viene situato il primo campo base, successivamente risalito il Pozzo del Tetto, la Galleria di Damocle, la Galleria in Salita fino al Pozzo delle Cattedrali alla cui sommità il 1 maggio 1980 viene trovato il posto per un nuovo Campo Base, che rimarrà tale per tutto il tempo delle esplorazioni. Il Campo Base, sabbioso, riparato dal vento, accogliente, permette di svolgere le esplorazioni con un buon punto di appoggio, ma pur sempre a diverse ore dall'ingresso. Dal Campo Base si diparte una numerosa serie di diramazioni: a destra e a sinistra. Sulla destra il ramo che si concluderà al pozzo Sirena dopo avere risalito la Forra dell'Infinito, la Galleria dell'Inca e il Calvario. Qui tramite un traverso a metà pozzo si raggiunge la Galleria del Fiume Lete fino al Pozzo Giovanni e al ramo dei Polacchi. Dalla parte opposta il Pozzo Valanga.

Dal Campo Base le esplorazioni si indirizzano sul ramo dell'Odissea e del Pozzo Valanga, chiave dell'esplorazione e della congiunzione con la Buca del Cacciatore/Fighiera. Per valutare le difficoltà basti dire che per raggiungere il Ramo dell'Odissea è necessario risalire 350 metri dalla base della Fangaia. Il Pozzo dell'Odissea deve il suo nome al fatto di essere battuto, nel buio, dall'acqua e dal freddo. Chi lo ha risalito ha dovuto superare passaggi di V grado che, paragonati a quelli in parete, lo spostano ancora più su nel grado delle difficoltà. Una volta raggiunta la sommità del pozzo c'è solo la possibilità di proseguire risalendo i Pozzi Malèfici, 110 metri strisciando su uno strato di fango di 10 – 15 centimetri, per poi essere premiati dal Meandro degli Sposi, finalmente un bel posto ma liscio come l'olio e molto difficile a risalire, e più avanti altri pozzi e dure strettoie che portano sotto la Buca dei Gracchi. C'è anche una strettoia micidiale, percorribile solamente dall'acqua, che arriva al fondo del Pozzo Black Magic del Cacciatore. Questo in poche parole.

Più nel dettaglio: dal Campo Base si esplora il Ramo dell'Unione fino a un grande pozzo di 60 m che si supera traversandolo e arrivando una prima volta al Pozzo Valanga. Poi il Labirinto Gruviera che con innumerevoli diramazioni porta di nuovo al Pozzo Valanga superato con un traverso sulla destra, per arrivare nella Valle dell'Eden e i rami che portano al Gran Fiume dei Tamugni oppure alla prima giunzione col Cacciatore/Fighiera, oppure a risalire il Pozzo dell'Odissea coi successivi Malèfici fino al collegamento con la Buca dei Gracchi, oppure ancora ai rami dell'Anniversario e al Pozzo Stalingrado, o tornando lungo il ramo dei Fiori al Pozzo Follia con le sue diramazioni. Raccontare l'avanzamento delle esplorazioni citando i nomi dei pozzi via via esplorati può dare l'impressione che si tratti di cosa semplice. Invece queste non procedono lisce ma vanno per tentativi, risalite, discese, strettoie, docce, fango e tutto l'arsenale di difficoltà che conosce la speleologia, fino a trovare una prosecuzione percorribile. Il Labirinto Gruviera risulta il centro di tutti i problemi: da qui iniziano e da qui si risolvono; si prova a proseguire per il Pozzo Valanga e per il Pozzo Stalingrado.

L'inizio del 1981 trova gli esploratori del GSF alle prese con la revisione della zona del Pozzo Sirena, del quale da poco è stato fatto il rilievo, indispensabile per comprendere qualcosa e decidere le prossime mosse. Da qui accedono alla Galleria Marchetti già visitata in una delle prime esplorazioni, trovano tracce dei Polacchi e il Pozzo Giovanni –238 m disceso appunto dai Polacchi, collegandolo con la Galleria del Calvario per una nuova e più celere via: il Ramo Katia. Iniziano a risalire il Pozzo Follia. Poi trovano e discendono un pozzo che confluisce alla base del Pozzo Valanga ed esplorano la Galleria dei Fiori. Completano la risalita del Pozzo Follia alla cui sommità si aprono altri tre pozzi che vengono discesi. E si rileva.

I fiorentini sono convinti – dall'esame dei rilievi delle due grotte – che dai loro rami si debba entrare nel Cacciatore/Fighiera e nel settembre 1981 iniziano una serie di prove coi mercaptani. Si tratta del tetraidrotiofene, ampiamente sperimentato come odorizzante in vari settori come il gas di città. Visto che con i mercaptani le cose non sono andate un gran che bene si cambia strategia: dal Cacciatore si immette fluoresceina alla base del Pozzo Black Magic. Nel Corchia l'acqua colorata di verde esce da una delle fessure in alto nella “Saletta dell'Acqua Verde” nei pressi della sommità del Pozzo dell'Odissea. Naturalmente si risale, si tenta di allargare la strettoia ma senza risultati.

Si cerca allora una via fossile alla sommità del Pozzo Odissea, ancora senza successo. Le esplorazioni si spostano verso la Valle dell'Eden della quale viene fatto il rilievo ed esplorati i laghi. Siamo già al gennaio del 1983 e i nostri esploratori cominciano a dare segni di stanchezza, finchè il 27 marzo i torinesi effettuano la giunzione tra il Cacciatore e l'Antro del Corchia, attraverso delle strettoie che vengono battezzate “Castighi di Dio”, sbucando alla base del Pozzo Valanga nei rami dei Fiorentini. Una borsina d'armo, siglata GSF, dà loro la certezza di essere nel Corchia. Anche i nostri ripetono la traversata dal Cacciatore al Corchia, ripercorrendo il ramo Omar Khajam e i Castighi di Dio.

Dedica ad Omar Khajam (Foto R. Ciurli GSF – LASE)

Se non è scoramento è per lo meno delusione e le esplorazioni si interrompono fino a luglio. Sono rimasti alcuni punti in sospeso come la zona del sifone a monte del Gran Fiume dei Tamugni che viene esplorata a settembre, poi passano all'Odissea: a monte del pozzo vengono risaliti altri 50 metri lungo i Pozzi Malèfici sempre tra freddo, acqua, fango, sassi che cadono. Un vero incubo realizzato.

Si riprendono le esplorazioni nel marzo 1984. Ancora nel Ramo dell'Odissea, superando di 80–100 metri il punto della volta precedente viene trovato e percorso il Meandro degli Sposi che poi si allarga in una bella galleria orizzontale da cui si diparte un ennesimo pozzo in salita di un'altra trentina di metri. E finalmente si completano le risalite del Ramo dell'Odissea il cui punto massimo risulta di + 676 metri, mentre le gallerie esplorate arrivano a circa 10 chilometri.(7)

(6) Le quote sono aggiornate all'ultimo rilievo de “I Rami dei Fiorentini” curato da Fabrizio Fallani in scala 1: 2000 del giugno 2005.

La fine delle esplorazioni viene suggellata con la scritta “Qui termina la dura via dell'Odissea” A.G. GSF ‘85.

A sinistra: rilievo di Marco Marchetti, 1930. A destra rilievo di Fabrizio Fallani, 1987-1988

Un'altra idea però fa capolino nella testa dei fiorentini: non sarà che la Buca dei Gracchi, che si apre poco a valle della Buca del Cacciatore, possa essere un migliore accesso ai Rami dei Fiorentini? Iniziano ad esplorare e disostruire nel maggio del 1986 fino al 1988. Ma ora gli esploratori sono stanchi, tanto stanchi che tornano al Corchia e alla Buca dei Gracchi nel 1990. Per accedere ai sottostanti rami è necessario fare opera di disostruzione che va avanti tra alterne vicende di trapani che si rompono, generatori che smettono di funzionare e altre amenità. A questo si aggiunge che si lavora sopra una frana.

Per essere sicuri della direzione dello scavo viene organizzata un'uscita in cui una squadra entra dal Serpente per andare all'Odissea e l'altra naturalmente ai Gracchi: non è necessario aprire la radio, si sente benissimo la voce e si vede la luce. La distanza è di tre o quattro metri. Si spera di sfondare in giornata ma purtroppo non è possibile e i due esploratori arrivati da “dentro” devono battere in ritirata per la stessa fredda e bagnata strada.

Il 27 gennaio del 1991, dopo anni di dura fatica e tenace volontà, il collegamento Gracchi – Odissea diviene una realtà. Vengono rimossi gli ultimi massi fino a una strettoia a “esse” che il trapano, guastatosi nel frattempo, non può allargare. Ma tanta è la voglia di scendere che Giovanni Adiodati, dopo vari tentativi, riesce a superarla e a rivedere la scritta che aveva lasciato al termine dell'esplorazione precedente. La risalita della strettoia è ancor più laboriosa della discesa.

L'esplorazione si conclude a giugno con la posa di reti di consolidamento e cemento per bloccare la frana, ma con la strettoia ancora lì a rendere difficile l'accesso.

Altre esplorazioni

Mentre i fiorentini compivano le loro imprese anche altri Gruppi frequentavano l'Antro e altri avvenimenti turbavano gli animi di esploratori e abitanti di Levigliani e dintorni.

Nel 1980, sul monte Corchia, viene trovato ed esplorato – dal Gruppo Speleologico Pisano, Gruppo Speleologico Faentino, Speleo Club Pontedera – l'Abisso Farolfi. Questo viene presto collegato alla Buca del Cacciatore/Fighiera e assieme all'Antro del Corchia si può parlare da questo momento di Complesso carsico del monte Corchia. La profondità del Complesso risulta di 1187 metri e lo sviluppo delle gallerie esplorate di oltre 60 chilometri.

Nell'Antro vero e proprio il Gruppo Speleologico Bolognese – Unione Speleologica Bolognese (GSB – USB) esplora la Diramazione alta A. M. Pagnoni che si affaccia sul Salone Manaresi.

Il Salone Manaresi. (Foto F. Utili, SCF-GSF)

Già nel 1978 l'Associazione Speleologica Romana (ASR) esplora e descrive il Ramo dei Romani, mentre i soliti bolognesi approfondiscono le conoscenze attorno al Pozzo Franoso.

Sono attivi anche gli uomini del Gruppo Speleologico Lucchese che, siamo nel 1983, scoprono nuovi e bellissimi ambienti con una risalita nei pressi della Galleria delle Stalattiti.

Il risultato migliore lo ottiene il Gruppo Speleologico Pipistrelli di Fiesole che percorre un secondo collegamento con la Buca del Cacciatore/Fighiera. Questo collegamento viene chiamato Valinor. I ragazzi del GSPF, che nel 1976 si erano innamorati del Ramo della Fatica, tenendosi troppo alti nel secondo meandro sbucano in una saletta con aria e una finestra, ma solo nel 1984 tornano a quella finestra e si affacciano sul Salone Manaresi. Poi trovano una strada più comoda dei meandri della Fatica e si mettono a esplorare. Esplora, esplora, esplora, risalgono un arrivo d'acqua, 70 metri di saltini bagnati, fino a una fessura da cui esce l'acqua. Nella discesa vengono attirati da una finestrina. Ci si infilano fino a una saletta con quattro possibilità. Due non portano a nulla, ma le altre conducono con vari pozzetti in salita e in discesa a una galleria fossile e sabbiosa sopra un pozzo da 65 metri, che si apre su di un vasto salone. Dalla base del P. 65, il meandro in salita va verso monte, mentre uno sfondamento alla base del pozzo porta in fondo al Ramo della Fatica. Verso valle, seguendo l'acqua, si scende un pozzo e si percorre una galleria/forra con piccoli salti fino a scendere nella sala sopra il Pozzo del Portello. A questa galleria/forra si arriva anche dagli Scivoli, seguendo una condotta laterale e scendendo un pozzetto di 15 m. Il pozzo e il meandro sottostante vengono chiamati Pellucidar. Successivamente, nella restituzione del rilievo, pensano che l'esplorazione possa continuare sopra il P. 65, e proprio da lì, risalendo un bel meandro fossile, sbucano in una sala con gallerie e pozzi da ogni parte. Imboccano la galleria più grande e si fermano davanti a un pozzo che, dopo 100 metri, sbarra loro la strada: Valinor. Con altre tre uscite esplorano una serie di grandi gallerie fino a scendere un enorme pozzo di 60 metri. È il Pozzo dei Titani, nel Ramo del Meinz, della Buca del Cacciatore/Fighiera.

Non contenti nel 1985, partendo dalle Gallerie di Valinor, ne esplorano un'altra e poi ancora altre, belle, tonde, concrezionate. Da qui, continuando nelle ricerche, risbucano al Ramo A. M. Pagnoni, esplorato dai bolognesi risalendo nella Sala del Manifesto. E da un pozzo entrano nel Salone Manaresi: trenta metri sotto l'inizio del pozzo il punto limite raggiunto dai bolognesi nella risalita del 1980. I rami che si affacciano in cima al Salone Manaresi vengono denominati Eressea. Oltre a questo, ma in zona completamente diversa, nel 1984 trovano un nuovo piccolo ramo, il Ramo dei Troll, sopra il Pozzo del Pendolo.

L'avanzamento delle esplorazioni viene accompagnato, nel 1990, dalla pubblicazione, da parte della Commissione Catasto della Federazione Speleologica Toscana, affidata alla passione di Fabrizio Fallani e Leonardo Piccini, della Pianta Generale del Complesso Carsico del Monte Corchia, comprendente l'Antro del Corchia, l'Abisso Farolfi e la Buca del Cacciatore/Fighiera, che rende evidente anche visivamente la vastità delle esplorazioni.

L'Unione Speleologica di Calenzano, il 17 gennaio del 1998, individua un nuovo ingresso sulla cresta che si distacca dal monte Corchia e si dirige verso monte Alto. Chiamano la cavità Grotta Vittorio Prelovsek, per ricordare un amico e un precursore delle esplorazioni sulle Alpi Apuane. In venti fine settimana esplorano una bella galleria in discesa e dopo un saltino un bellissimo percorso costellato di pozzi e cunicoli che prosegue per circa 650 metri fino a un sifone tappato dall'argilla. Mettono a frutto la lunga esperienza di disostruzioni appresa sui monti della Calvana ed entrano nell'Antro del Corchia nel Ramo del Conte, nei pressi del Salone Saragato. Il 27 giugno 1998 l'Antro del Corchia e la Prelovsek si uniscono. È il 13° ingresso.

L'Associazione Speleologica Romana, nel 1978, si unisce a quanti cercano il mitico congiungimento con la Buca del Cacciatore/Fighiera iniziando una risalita nei rami fossili ove la Galleria del Venerdì e la Galleria degli Inglesi si incrociano: il Ramo dei Romani. Tra il 1979 e il 1980 vengono risaliti quasi 300 m di dislivello per poi discenderne circa 100 nel 1983. Alla sommità delle risalite la grotta si divide in due vie, una porta verso l'esterno all'apice del Pozzo Tuono Blu, l'altra incrocia una via parallela che comincia a scendere. Poi l'ASR sceglie una nuova zona di gioco e lascia in sospeso la partita.

Nell'aprile del 1987 gli uomini del GSB-USB, durante un'uscita fotografica, si trovano al Lago Terminale impossibilitati ad andare sul fondo da una piena. Mentre si consolano con un tè viene trovata una fessura che i più magri riescono a passare. Al rientro riferiscono che la via prosegue. Nell'inverno tra il 1987 e 1988 si susseguono le punte esplorative di questo ramo che prenderà il nome di Ramo delle Piene: in tutto risalgono 365 metri. E nel febbraio del 1988 pure due toscani, due fiorentini e due bolognesi avanzano nell'esplorazione. Anche il Gruppo Speleologico Lunense decide di dare un'occhiata ed eventualmente riprendere le esplorazioni. Senza grande fortuna.

Nel 2002 si cimentano gli uomini del Gruppo Speleologico Archeologico Livornese (GSAL). Addomesticando alcune strettoie, come dicono loro, scendono il ramo in discesa e dopo un meandro e due pozzi arrivano in una saletta con finestra in parete che dà su un successivo pozzetto e da qui ad un'altra saletta ancora. Finchè sul pavimento del meandro che stanno percorrendo si ritrovano di fronte a una distesa di fanghiglia con un'impronta di scarpone stampata sopra. Pochi metri più avanti un pozzo con un vecchio attacco per il disarmo in doppia. Sono arrivati all'ultimo pozzo risalito dai bolognesi, ove anche i romani erano arrivati in discesa abbandonando anche una corda sul pozzo armato, corda che i bolognesi non avevano visto, lasciando ai livornesi il compito di ricongiungere due rami “senza avere fatto un metro di grotta nuova”! A loro la consolazione di risalire altri pozzi inesplorati e di uscire dal 14° ingresso, nel 2007.

Studi e ricerche

Gli studi più importanti che vengono svolti col procedere delle esplorazioni sono quelli biologici, geologici, idrologici e meteorologici.

Per la biologia nel 1966 si conosceva solo un insetto, negli anni immediatamente successivi e fino al 1977 vengono individuati un mollusco, il crostaceo Niphargus, dei ragni, dei coleotteri Duvalius, dei tricotteri, dei ditteri, dei miriapodi, dei collemboli, dei roditori e dei chirotteri, e con successivi approfondimenti il numero degli abitanti ipogei si amplia.

Per la geologia le ricerche sono accurate, i progressi continui e spesso accompagnati da un approfondimento delle conoscenze idrogeolologiche. Val la pena notare come solamente con le colorazioni del 1970 si ha la certezza che l'acqua dell'Antro del Corchia sgorghi a Cardoso.

Altre colorazioni permettono di appurare l'unicità del collettore sotterraneo dell'Antro: dal Gran fiume dei Tamugni, al fiume Vianello, al fiume Vidal; come dal Lago Paola al Lago Sifone e naturalmente alla sorgente. La sorgente più importante dell'Antro è quella denominata “Il Fontanaccio” e situata poco a monte di Ponte Stazzemese a Cardoso, a un'altitudine di 176 m s.l.m. Curiosamente, di questa sorgente, come di molte altre delle Alpi Apuane, gli unici dati di portata sono quelli di Perrone (1912) che la valuta tra i 68 l/s in periodo di magra e i 267 l/s in periodo di piena.

“Le risorgenze di Cardoso, da quando sono state analizzate, sono risultate sempre inquinate, più del fiume Vidal e dei corsi d'acqua interni che hanno presentato solo sporadicamente situazioni d'inquinamento microbiologico. L'ipotesi più probabile è che prima di uscire in superficie l'acqua passi sotto gli abitati di Pruno e Cardoso, attraversi il fondovalle dove scorre il torrente ed emerga sull'altro versante della valle; pertanto è probabile che l'inquinamento si verifichi in questo tratto di percorso sotterraneo, per la presenza in superficie di scarichi domestici, fosse biologiche a perdere, stalle e concimaie”. (Montigiani 1980)

2001-2002
Microbiologia dei corsi d'acqua dell'Antro del Corchia

Da: P. Bianucci, F. De Sio, L. Lotti, G. Luchetti, E. Mantelli, A. Montigiani

Da: G. Bruschi, G. Zanchetta, I. Isola, 1999

La figura mostra la sezione longitudinale della stalagmite e le relative datazioni. Queste sono state effettuate con il metodo U/Th mentre lo studio paleoclimatico è stato effettuato studiando la composizione isotopica dell'ossigeno della calcite (BRUSCHI et al., 1999; DRYSDALE et al., 2001; 2003). Il fragmento di stalagmite è stato raccolto nel 2000 nella Galleria delle Stalattiti. Una volta prelevata è stata sezionata longitudinalmente, e le due facce sono state lucidate per mettere in evidenza le bande di accrescimento.

Le età ottenute ci mostrano come la stalagmite si sia sviluppata in maniera discontinua tra circa 40.000 e 370.000 anni fa. Due stasi nella crescita (hiatus,H) sono particolarmente evidenti (H1 e H2). Questi due hiatus sono caratterizzati dalla presenza di strutture di crescita a “cavolfiore” che indicano una riduzione drastica dell'acqua di stillicidio. La parte che prenderemo in esame con maggiore dettaglio è quella compresa tra circa 370.000 e 200.000 anni, cioè tra circa la base e lo hiatus H2.

È bene ricordare che i numeri (cioè gli stages isotopici) dispari sono fasi interglaciali mentre quelli pari rappresentano fasi glaciali. Tra 370.000 e 340.000 anni si osserva una generale tendenza al raffreddamento seguita da una breve interruzione dell'accrescimento della stalagmite ( hiatus H1). E' molto probabile che questa interruzione corrisponda al massimo di un periodo glaciale caratterizzato da temperature troppo rigide per permettere la crescita della stalagmite (probabilmente prossime allo zero). Dopo questa fase si assiste a un rapido miglioramento climatico che in poche migliaia di anni porta la stalagmite su valori più caldi che non verranno più raggiunti da questa concrezione durante il resto della storia investigata. Il massimo caldo corrisponde a circa 332.000 anni. Successivamente si assiste a un breve decremento che corrisponde a una probabile diminuzione della temperatura media, tra 330.000 e 310.000 circa il clima si mantiene pressoché stabile per avere una prima brusca oscillazione fredda a circa 310.000 anni. Questa è di durata molto breve e il clima sembra migliorare nuovamente mantenendosi su condizioni simili al precedente intervallo compreso tra 330.000 e 310.000, ma in questo caso sono visibili delle oscillazioni ad alta frequenza più marcate. A circa 295.000 anni si ha una nuova recrudescenza climatica, anch'essa di breve durata, cui seguono un nuovo breve miglioramento e un'ulteriore fase fredda. Qui si verifica un nuovo hiatus che dura oltre 140.000 anni. La ragione di una stasi così lunga è difficile da spiegare. Probabilmente siamo in presenza di una concomitanza di fattori non soltanto climatici, ma anche legati all'evoluzione del reticolo di fratture che garantisce sufficiente stillicidio necessario ad alimentare la crescita delle concrezioni. La stalagmite torna a crescere circa 130.000 anni fa, indizio che le condizioni climatiche e lo stillicidio sono nuovamente ottimali per permetterne lo sviluppo.

LA TEORIA ASTRONOMICA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Questa teoria si basa sull'assunzione che la temperatura della superficie terrestre vari in risposta ai cambiamenti regolari e ricostruibili dell'orbita e dell'asse terrestre. A causa delle influenze gravitazionali tra i pianeti ed il sole, la forma dell'orbita terrestre cambia con una periodicità di circa 100.000 anni da una forma pressoché circolare ad una più ellittica. Questo processo è conosciuto come variazione dell'eccentricità dell'orbita terrestre.

L'asse di rotazione terrestre rispetto al piano immaginario contenente l'orbita terrestre (piano dell'eclittica) non è perpendicolare ma inclinato (questo determina la presenza delle stagioni ed il loro alternarsi in periodi diversi nei due emisferi) con angolo variabile da 24.5° a 21.5°(obliquità dell'eclittica). Tale oscillazione avviene in circa 42.000 anni. L'asse di rotazione terrestre non solo cambia progressivamente la sua inclinazione rispetto all'eclittica ma possiede anche un movimento circolare dovuto all'effetto gravitazionale della Luna e del Sole. La conseguenza di questa rotazione è la così detta precessione degli equinozi. Questo significa che le stagioni durante le quali la terra è più vicina al sole (perielio) variano. Attualmente nell'emisfero boreale (il nostro) l'inverno cade in perielio, mentre l'estate cade nel momento in cui la terra si trova alla massima distanza dal sole (afelio). Nei prossimi 10.500 anni la situazione sarà invertita. Il ciclo completo si sviluppa in circa 21.000 anni. In realtà la combinazione dei vari effetti produce due cicli di circa 23.000 e 21.000 anni.

La combinazione dei parametri dell'orbita terrestre ha una grossa influenza sul clima terrestre. Il totale delle radiazioni ricevute dalla superficie terrestre è principalmente governato dalla variazione dell'eccentricità dell'orbita, mentre gli altri parametri controllano il modo e la quantità di energia che viene distribuita alle varie latitudini.

L'analisi spettrale del segnale isotopico delle carote oceaniche ha dimostrato l'esistenza di cicli di 100.000, 43.000, 24.000 e 19.000, almeno negli ultimi 700.000 anni. Questa è stata la dimostrazione inoppugnabile della presenza dei cicli dell'eccentricità, dell'obliquità e della precessione degli equinozi all'interno delle variazioni climatiche. La teoria Astronomica fornisce quindi una chiave di lettura abbastanza soddisfacente del perché dell'alternanza di fasi glaciali ed interglaciali sulla terra. Tuttavia, se questa è in grado di spiegare le oscillazione di lunga durata del clima, non riesce comunque a spiegare numerose anomalie della storia climatica terrestre. Inoltre l'importanza dei vari parametri orbitali sembra essere cambiata negli ultimi 3 milioni di anni ed il perché non è ben compreso. Anche se oggi essa è ampiamente accettata si tende tuttavia a considerare i cambiamenti dei parametri orbitali come i parametri generali che governano le variazioni climatiche, che sono a loro volta modulate, amplificate o attenuate da numerosi altri fattori.

DATARE UNO SPELEOTEMA: IL METODO DELL'URANIO/TORIO*

Il metodo dell'Uranio/Torio (U/Th) fa parte della famiglia delle tecniche radiometriche di datazione, talvolta, erroneamente chiamate anche metodi di datazione “assoluti”. Il principio generale su cui si basano queste tecniche per ottenere “misure di età” da determinate rocce è il processo di decadimento radioattivo di un isotopo di un elemento (nuclide padre instabile) in un altro (nuclide figlio, stabile). I processi di decadimento radioattivo avvengono con legge temporale costante quindi, in generale, se conosciamo la costante di decadimento (conosciuta come ?, la quale rappresenta la probabilità che un radionuclide decada in un determinato periodo di tempo) e la concentrazione del padre e del figlio con buona accuratezza è possibile stabilire l'età del campione analizzato. In realtà questa età rappresenta l'età di chiusura del sistema e non necessariamente indica l'età a cui noi siamo interessati. Inoltre numerose complicazioni si aggiungono all'ottenimento dell'età finale. Per questo è più corretto parlare di misure di età (che sono quindi per loro natura soggette ad un errore più o meno noto) che di datazioni assolute.

Alcuni elementi radioattivi non decadono direttamente in un figlio stabile ma attraverso una lunga catena producono isotopi intermedi a loro volta radioattivi. Questo è il caso dell'238Uranio, dell'235Uranio e del 232Torio (il numero all'apice indica il numero di massa dell'isotopo, dato dalla somma dei protoni e dei neutroni presenti nel nucleo). Il prodotto finale di questa catena sono gli isotopi del piombo 206Pb, 207Pb e 208Pb. Teoricamente gli speleotemi potrebbero essere datati misurando i il prodotto finali del decadimento (il Piombo), ma in realtà, questo metodo è usato solo per datare rocce molto vecchie perché il tempo totale di decadimento della catena è estremamente lungo. Sempre in teoria si potrebbero misurare i nuclidi intermedi che hanno tempi di decadimento più interessanti per i nostri fini. Tuttavia in un sistema chiuso (senza la possibilità che i prodotti di decadimento escano oppure entri qualche sorgente estranea di nuclidi radioattivi) siamo nelle condizioni di equilibrio in cui tanto decade tanto viene prodotto. Se però un tale sistema viene interrotto in qualche punto e un qualche isotopo radioattivo viene fatto decadere fuori dalla serie in un altro sistema chiuso non esisterà un equilibrio tra i padri ed i figli della catena. Questo disequilibrio non è infinito ma il padre decade secondo il suo tempo di decadimento ed il figlio si accumulerà secondo il rapporto tra la produzione dal padre e dal suo decadimento. Questo disequilibrio può essere usato per fare misure di età non più sulla quantità del figlio prodotto ma dal disequilibrio tra i prodotti intermedi di una catena di decadimento. Il più comune dei metodi e quello che utilizza il decadimento dell'234Uranio in 230Torio (utilizzati anche per datare la stalagmite CC1). Attraverso i processi di alterazione superficiale è stato osservato come l'uranio sia sostanzialmente solubile ed atto ad essere trasportato all'interno del ciclo idrogeologico tendendo successivamente ad essere intrappolato nei carbonati di precipitazione chimica e biologica (speleotemi, travertini, coralli). Questo non succede per esempio per il Torio che invece mostra una maggiore immobilità. Ciò fa sì che, quando in grotta precipita la calcite sia presente Uranio mentre la quantità di Torio è sostanzialmente trascurabile. In questo modo, se il sistema è chiuso e non è presente Torio di origine detritica, l'234Uranio (parte della catena di decadimento dell'238Uranio) comincerà a decadere nel 230Torio. La misura del disequilibrio tra questi due isotopi permetterà di stimare l'età del nostro carbonato di grotta.

* Nel 2006 una stalagmite del Corchia è stata analizzata col metodo Uranio/Piombo, restituendo un'età di circa 1,05 milioni di anni, e confermando l'antichità delle concrezioni della grotta.

 

Le prime misure di temperatura dell'aria dell'Antro del Corchia risalgono alla metà del 1800. Emilio Simi nel 1846 misurò la temperatura all'interno rilevando + 8,6 °C - 8,9 °C; si presume nella parte a quei tempi conosciuta, cioè la zona della Buca d'Eolo. I dati delle spedizioni del 1969 e 1970, peraltro ricavati da un termometro tarato da – 10 °C a + 52 °C al decimo di grado, danno una temperatura dell'aria di + 8,0 °C e dell'acqua a + 7,5 °C. Questi dati non evidenziano differenze tra le varie quote prese in esame, sono solo indicativi in quanto le misurazioni sono state fatte in occasione di spedizioni. “Poiché il Corchia è sistema carsico ad alta energia con una notevole circolazione di aria, l'influenza delle stagioni si fa sentire fino a varie centinaia di metri dagli ingressi, quindi i dati per essere confrontabili nel tempo devono essere correlati ad altri parametri come il periodo dell'anno, la velocità dell'aria e la velocità del vento e la distanza dagli ingressi. Negli anni ‘69/'70 le misure, anche con tutte le accortezze del caso, erano influenzate dalla presenza delle persone. I rilevamenti fatti dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) con strumenti elettronici sono senz'altro più precisi: misurando in continuo danno la possibilità di ricavare dei valori medi di periodi, così che i valori medi si avvicinano di più a quelli reali. Inoltre, sempre perché registrano in continuo è possibile correlare eventuali sbalzi di temperatura alla presenza di gruppi di turisti o speleologi nelle vicinanze degli strumenti. Purtroppo anche i moderni strumenti non sono all'altezza di darci le informazioni per verificare eventuali variazioni che possono alterare o almeno influenzare i meccanismi speleogenetici, dal momento che gli equilibri che regolano il chimismo delle grotte e quindi la crescita e la dissoluzione del calcare, sono sensibili al centesimo di grado. Pertanto possiamo continuare a registrare temperature per moltissimo tempo, ma con dei termometri al decimo di grado non si ricaverà altro che variazioni stagionali o passaggio di gruppi di turisti. I termometri al centesimo di grado esistono, ma estremamente costosi e delicati ed è praticamente impensabile, almeno al momento attuale, il loro acquisto e utilizzo”. (A. Montigiani, report non pubblicato, 2002).

Solamente dopo la decisione di rendere turistico l'Antro del Corchia, del 1997, a cura dell'ARPAT in accordo col Parco delle Alpi Apuane e la Federazione Speleologica Toscana, è stato iniziato un monitoraggio in continuo dell'atmosfera ipogea (temperatura dell'aria, velocità del vento, tenore di anidride carbonica e umidità relativa) lungo il tratto che collega la Galleria Franosa alla Galleria delle Stalattiti. La temperatura dell'aria nella zona più interna di questo percorso, misurata per un anno da aprile 2006 a maggio 2007, si colloca intorno a (8,0 ± 0,1) °C. Si tenga presente che in occasione di freddo particolarmente intenso nell'area apuana, la perturbazione della temperatura dovuta all'aria in ingresso dal pozzo Empoli arriva circa 400 metri all'interno della Galleria del Venerdì. Per quanto riguarda la notevole mole di dati di meteorologia ipogea è possibile fare riferimento ai lavori dedicati (A. Montigiani,
L. Lotti, F. Mantelli, 2001).

Per quanto riguarda il chimismo delle acque, le analisi chimiche delle acque riferite al tratto turistico, ad accezione di qualche fenomeno durante la realizzazione dell'opera, non indicano fino ad oggi alcuna influenza del passaggio dei turisti. Le variazioni delle caratteristiche microbiologiche con presenza di indici di contaminazione, sulla base degli studi attuali, sono riferibili alle variazioni delle portate in ingresso: in assenza di precipitazioni le acque correnti manifestano un basso indice di contaminazione tanto che in alcuni casi possono avere i requisiti di potabilità. Le piogge dilavano la superficie esterna della montagna e trascinano all'interno del complesso carsico il materiale del suolo a causa della scarsa capacità di filtrazione delle rocce del monte Corchia. Sono in corso ulteriori studi sulla microbiologia dei laghetti più prossimi al percorso turistico per verificare quanto la presenza antropica, turisti e speleo, possa alterare la microbiologia di questi laghetti (F. Mantelli, A. Montigiani, L. Lotti, L. Piccini,
V. Malcapi, 1999; F. Mantelli, A. Montigiani, P. L. Bianucci, L. Lotti, F. De Sio, 2001).

Sono sinteticamente riportati i dati delle temperature delle acque di alcuni corpi idrici; le variabilità sono funzione delle portate. Queste misure sono state effettuate dal personale ARPAT durante le operazioni di monitoraggio nel corso degli anni 1997-2009 con termometro avente un'incertezza di 0,5 °C. È in previsione una pubblicazione organica che raccoglierà gran parte dei dati realizzati in oltre un decennio di attività di monitoraggio e controllo ARPAT.

Cascata della Gronda: temp. massima 8,5 °C; temp. minima 7,1 °C
Cascata dei Romani: temp. massima 10,2 °C; temp. minima 8,0 °C
Fiume Vidal: temp. massima 8,0 °C; temp. minima 6,9 °C
Sorgenti di Cardoso: temp. massima 11,4 °C; temp. minima 10,0 °C

Il monitoraggio dell'area destinata a fruizione turistica resta l'occasione per “Rappresentare un laboratorio per la verifica dei problemi di impatto delle attività estrattive e turistiche – comprese quelle speleologiche – sulla qualità delle acque e sull'ambiente ipogeo in generale” (F. Mantelli, G. Luchetti, A. Montigiani, L. Lotti, F. De Sio, 2003).

Altre prospettive sono aperte dagli gli studi relativi alle stalagmiti dell'Antro del Corchia e delle Alpi Apuane più in generale, veri e propri archivi naturali del clima del passato, iniziati nel 1999 e in continuo progresso, sui quali è stato organizzato nel 2004 un originale Convegno “Le grotte raccontano: un milione di anni di storia naturale conservato nei sistemi carsici delle Alpi Apuane”. Questi studi tendono ad investigare le variazioni climatologiche del recente passato per ottenere “informazioni sul complesso sistema che regola il clima sulla superficie terrestre e i suoi mutamenti nel tempo”. “Lo studio del clima passato come strumento di comprensione del presente e di predizione delle condizioni climatiche future”. (G. Bruschi, G. Zanchetta, I. Isola, 1999). L'Antro del Corchia – oggi anche risorsa turistica – è uno tra gli archivi della storia climatica terrestre meglio preservato e come tale è da conservare e proteggere gelosamente, non solo per le bellezze naturali, ma anche per le uniche potenzialità scientifiche.

La questione ambientale

Il monte Corchia non è frequentato solo da speleologi, escursionisti, alpinisti ma anche da quanti dal monte traggono il proprio sostentamento e cioè i cavatori. Quanto più gli speleologi approfondiscono la conoscenza dell'interno della montagna, quanto più sorgono problemi. Uno di questi riguarda l'avanzata sempre più aggressiva delle cave. I nuovi metodi di escavazione permettono, a parità di tempo, di decuplicare la roccia cavata. Mentre i cavatori si fregano le mani, pensando all'immediato, gli speleologi, che guardano al futuro, hanno di che preoccuparsi. Tanto più cresce l'importanza speleologica e scientifica dell'Antro, quanto più ci si rende conto dell'impossibilità della convivenza tra escavazione del marmo e cavità naturali. L'approvazione della Legge Speleologica Regionale del 1984, che detta precise regole di tutela, fa sperare che si possa riuscire a concordare un qualche intervento che salvi la situazione. Tra le tante idee quella di rendere turistico l'Antro per offrire un'alternativa alle cave aveva già fatto capolino nel 1978, quando fu effettuato a Stazzema il Convegno “Risorse Naturali dell'Alta Versilia” in cui si parlò di valorizzazione del castagneto da frutto, della possibilità di riconvertire vecchie costruzioni a rifugio, di aprire campeggi e di valorizzare l'Antro del Corchia. Tutte iniziative enunciate e mai realizzate. In quella occasione la speleologia toscana, pur avendo i propri dirigenti presentato una relazione possibilista, ipotizzando un percorso sotterraneo che potesse permettere a tutti di rendersi conto della bellezza e maestosità dell'Antro, non fu concorde. E non lo è neppure oggi. Anche se quella lontana iniziativa ha probabilmente aperto la strada alla collaborazione con gli Enti Locali per l'attuazione di precise prescrizioni per rendere turistica la grotta col minore impatto ambientale possibile. Però sia i cavatori che le Amministrazioni Locali vogliono ambedue le cose, tanto che strade e cave invece di diminuire aumentano, complice il Piano Cave della Regione Toscana.

La lizzatura. (Foto d'epoca)

Ma non è facile per gli speleologi, tutti appartenenti al volontariato più puro, contrastare con cavatori e amministratori che, non riuscendo a far fronte alle esigenze lavorative dei loro amministrati, si sono limitati a seguire la strada più facile che conoscevano: l'escavazione del marmo. Gli animi si infiammano quando gli speleologi cercano di fare valere i “diritti della montagna” facendo partire una denuncia per la strada e i saggi abusivi della Cava del Retrocorchia. La situazione è chiara perché “le leggi ci sono, vietano di cavare senza che il Comune rilasci i permessi, vieterebbero di aprire strade senza avere una qualche autorizzazione; ma lo stesso cavatore che in casa sua apre una finestra per dare luce a una stanza, se non chiede la concessione edilizia, trova senz'altro un pretore che lo condanna, quando distrugge tutto un fianco del monte, nel nome del diritto al lavoro, senza altro permesso che la tacita connivenza delle autorità competenti, allora diventa intoccabile, impunibile”. La situazione è tale che si costituisce il Comitato per la difesa del complesso carsico del monte Corchia al quale aderiscono varie organizzazioni: dal Gruppo Speleologico Fiorentino alla Società Speleologica Italiana, dal World Wildlife Fund al Club Alpino Italiano, dalla Lega Ambiente a Mountain Wilderness e alla Federazione Speleologica Toscana (FST). Il Comitato farà recapitare alla Regione Toscana migliaia di cartoline di protesta e oltre 17.500 firme. Come se niente fosse, oltre allo scempio del retrocorchia ove l'arabescato non si troverà, la Cava dei Tavolini inizia a segare la cresta del monte Corchia con l'intenzione di portarvi una strada, farci una piazzola da cui iniziare lo sbancamento della cresta. Scatta una denuncia alla Magistratura e, nella ricerca della relativa documentazione, si scopre che tutte le cave del Corchia non sono in regola con permessi e autorizzazioni. Inizia un periodo di frenetica attività per la salvaguardia del monte e della Grotta e come prima azione difensiva, il 20 ottobre 1984 viene convocato un Sit-in per impedire il taglio della cresta, che nel frattempo viene bloccato dalla Magistratura. Causa pioggia la manifestazione si sposta sotto il Comune di Stazzema. Il 23 ottobre il Pretore mette piede in cava proibendo di scavare la strada per la cresta e procedere con i lavori interessanti il crinale. Non emette alcuna disposizione per il saggio del Retrocorchia, riservandosi di intervenire se produrrà danni. Anche la Regione Toscana, il 25 ottobre, invia i suoi tecnici a monitorare la situazione. Anch'essi devono prendere atto dello stato di abusivismo delle due cave, finchè nel marzo del 1985 invita i rappresentanti della Federazione Speleologica Toscana a un incontro nel quale sono sollecitati a collaborare con i geologi dell'ERTAG, che hanno provveduto alla stesura del “Progetto Marmi” Comparto Monte Corchia, ai fini della salvaguardia dell'Antro. Segue a settembre l'Associazione Intercomunale della Versilia che sollecita una piena collaborazione tra le istituzioni pubbliche e le associazioni speleologiche, sia «per permettere una rapida ed esaustiva definizione delle situazioni in atto ai fini della continuità estrattiva sia alla salvaguardia assoluta dell'Antro del Corchia e del rispetto dei vincoli e dei pregi paesaggistici, richiamati dalle normative vigenti».

Dopo tante sollecitazioni, mentre il Gruppo Speleologico Lucchese prepara un ponderoso “Dossier Corchia” in cinque tomi, sulla vicenda, la bibliografia, le leggi, il Progetto Marmi e la documentazione fotografica, la Federazione Speleologica Toscana organizza per il 15 dicembre 1985 a Pietrasanta il Convegno “Il Corchia un monte da salvare”, al quale intervengono anche cavatori e amministratori. Il Presidente della FST tra le altre afferma «invece di cercare di armonizzare la natura con le cave, invece di piantare e ripiantare alberi, invece di sistemare rifugi e aprire campeggi, si è assistito a cave che lavorano e distruggono senza autorizzazioni, a cave che inquinano la falda e riempiono di rifiuti le gallerie che incontrano nel loro percorso. La logica che sottende questo tipo di intervento è quella della rapina del territorio, il resto in assenza di fatti concreti sono solo inutili parole». Lo scempio non si ferma al monte Corchia, ma investe tutte le Alpi Apuane. Passa il tempo senza che la situazione migliori per cui il 3 aprile del 1988 il Comitato Tutela Alpi Apuane organizza un incontro a Levigliani “Pasqua in grotta” e viene accolto con scritte “Antro=fame, Marmo=pane”. Solo la presenza della TV che registra i fatti impedisce che si arrivi alla violenza fisica. Le posizioni sono inconciliabili e purtroppo si deve rilevare come gli Enti Locali non abbiano mai tentato iniziative per lo sviluppo di attività produttive alternative alla monocoltura del marmo e con un impatto ambientale costruttivo anziché distruttivo, come per esempio lo sviluppo di un certo tipo “di turismo intelligente” che avrebbe permesso una graduale riduzione dell'attività estrattiva con il conseguente miglioramento della situazione ambientale. Per trovare una via d'uscita, il 17 settembre 1988, il GSF, con l'adesione della FST e di Mountain Wilderness, organizza un altro incontro a Levigliani, sempre per la salvaguardia del monte Corchia, ove intervengono, oltre agli speleologi e agli ambientalisti, cavatori, sindacalisti del marmo, Regione Toscana, Comune di Stazzema, Cooperativa del retro Corchia, Coop. Tavolini, Coop. Condomini e Coop. Pellerano. Ritrovarsi significa avere voglia di discutere e di confrontarsi, ma le posizioni rimangono distanti. Risalta comunque un fatto: il problema cave – ambiente – speleologia è stato affrontato dalle sole organizzazioni speleologiche e ambientaliste regionali e nazionali che si sono messe a disposizione di istituzioni e lavoratori per discutere il problema nella speranza di poterlo prima o poi risolvere. Vana illusione che il 6 maggio 1989 sono costretti a una ulteriore manifestazione, questa volta a Firenze, davanti alla sede del Consiglio Regionale.

 

La cava dei Tavolini, G. Pensabene, GSLu, dal “Dossier Corchia” (reperibile presso la sede del CAI di Lucca, la Biblioteca governativa di Lucca e il Gruppo Speleologico Fiorentino), tomo V

 

La cava dei Tavolini, G. Pensabene, GSLu, dal “Dossier Corchia”, tomo V
(reperibile presso la sede del CAI di Lucca, la Biblioteca governativa di Lucca e il Gruppo Speleologico Fiorentino)

Permane lo stato di tensione e il 16 e 17 giugno del 1990 il Comitato Tutela Alpi Apuane promuove la manifestazione “SOS Apuane” mentre il Comitato per la Difesa del Complesso Carsico del monte Corchia indice una fiaccolata sul monte per focalizzare ancora l'attenzione sulla problematica escavazione – grotte. La fiaccolata si vede da tutta la Versilia e ha una certa eco sulla stampa che non fa piacere ai cavatori. Oltre a questo l'azione di contrasto di tutte le forze ambientaliste toscane che con le loro denunce portano, il 28 aprile 1994, al sequestro di 7 cave, 5 delle quali sul Corchia, irrita ancora di più i cavatori. Le motivazioni del provvedimento di sequestro sono connesse all'inosservanza di Leggi Nazionali e Regionali che regolamentano l'escavazione, tra cui la mancanza di una deroga al vincolo paesaggistico da parte del Parco delle Alpi Apuane, la mancanza dell'autorizzazione della Regione Toscana all'escavazione e l'inquinamento tramite scarico di marmettola e idrocarburi. La stessa Regione Toscana chiede conto al Comune di Stazzema di tutte le sue inadempienze. Il Comune risponde arrampicandosi sugli specchi. In tutto questo rimpallo di responsabilità l'Associazione Intercomunale della Versilia, di cui fa parte anche il Comune di Stazzema, prende posizione per la salvaguardia dell'Antro del Corchia. Il sequestro mette in moto un meccanismo incivile e perverso per cui alpinisti e speleologi sono accolti con “gomme tagliate, auto danneggiate, altri atti di vandalismo”. E la stampa locale, quella che acquistano e leggono i cavatori, disinforma. Il bivacco Lusa-Lanzoni del CAI di Faenza, sulla vetta del monte Corchia presso l'ingresso della Buca del Cacciatore/Fighiera, costruito col permesso dei cavatori di Levigliani proprietari del monte e trasportato dai loro camions, viene smontato e successivamente dato alle fiamme. Si dirà che era abusivo, ma non più delle cave sempre aperte abusivamente e poi sanate! Ritorsione e rappresaglia contro l'azione della Magistratura che ha chiuso le cave fuorilegge. E come ulteriore ritorsione la chiusura dei 5 ingressi dell'Antro con grate e lucchetti per la quale viene promossa ulteriore azione giudiziaria che vedrà soccombere i cavatori, con la Federazione Speleologica Toscana e la Società Speleologica Italiana accolte come parti civili. Dal lato amministrativo la Regione Toscana non riesce a fare di meglio che promulgare una “Leggina” a sanatoria della situazione esistente. Successivamente si registra una ulteriore manifestazione sul Corchia con partenza da Levigliani, il 9 aprile del 1995, e il dibattito “Corchia, quale futuro?”.

La Cava dei Tavolini e la cresta del monte Corchia. (Foto M. Lazzarini, GSLu)

In tutta questa agitazione il progetto di attrezzare per il turismo l'Antro va avanti e ottiene un finanziamento della Comunità Europea. Dall'ambiente speleologico toscano non ci sono grandi reazioni di giubilo, ma da questo momento il progetto comincia a prendere forma. Nel 1996 la FST riceve l'incarico, assieme con l'ARPAT, del monitoraggio preventivo all'inizio dei lavori che porteranno alla parziale utilizzazione turistica dell'Antro. Nel dicembre 1996 viene pronunciata anche la sentenza di condanna dei cavatori per la posa delle grate agli ingressi, condanna confermata in appello l'anno successivo anche se con una diminuzione della pena pecuniaria e di quella detentiva. Una ditta viene incaricata dei lavori all'Antro e presto sostituita con una più affidabile. La FST segue l'andamento dei lavori e l'attuazione delle prescrizioni assegnate, in accordo col Parco delle Alpi Apuane. Cade l'ultimo diaframma e dal luglio 2001 l'Antro del Corchia è aperto al pubblico: una esplorazione sui generis, senza tute e senza carburo, ma la scoperta di un mondo parallelo suscettibile di forti emozioni. Il giorno 11 settembre 2001 avviene l'inaugurazione ufficiale. Il percorso turistico interessa la Galleria Franosa fino al Laghetto del Venerdì per proseguire per la Galleria delle Stalattiti e rientrare, dalla Galleria bassa, sul Laghetto del Venerdì.

La speleologia italiana spera ancora che il monte Corchia e gli altri monti del Parco delle Alpi Apuane possano avere un avvenire migliore, lasciando alle generazioni future un patrimonio ancora fruibile, e sicura che l'Antro del Corchia, con le sue migliaia di anni di vita, possa schiudersi come uno scrigno per rivelare segreti che ci narreranno la nostra storia e ci potranno indirizzare verso un migliore utilizzo delle risorse regionali, marmo compreso.

La Cava Pellerano. G. Pensabene, GSLu, “Dossier Corchia”, tomo V

 

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VERSIONE DIGITALE ORIGINALE
IMPAGINATA DALL'AUTORE

Premessa - Prefazione - Introduzione - Presentazione
di Franco Utili, Paolo Forti, Giampietro Marchesi, Bruno Steinberg
Pagg. I-IX (7,9 Mb)

Premessa, Prefazione, Presentazione de 'L'Antro del Corchia o Buca d'Eolo'


Caratteri Geologici ed Idrogeologici del Monte Corchia
di Eros Aiello
Pagg. 1-30 (34,19 Mb)

Caratteri Geologici ed Idrogeologici del Monte Corchia


L'Avventura delle Esplorazioni
di Franco Utili
Pagg. 31-75 (66,31 Mb)

L'Avventura delle Esplorazioni


Il Fondo dell'Antro era un Miraggio
di Franco Utili
Pagg. 77-113 (60,70 Mb)

Il Fondo dell'Antro era un Miraggio


I Rami del Venerdì
di Luciano Salvatici
Pagg. 115-152 (45,27 Mb)

I Rami del Venerdì


Il Fiume Marino Vianello
di Franco Utili
Pagg. 153-168 (25,35 Mb)

Il Fiume Marino Vianello


Il Ramo della Fatica
di Giovanni Lenzi
Pagg. 169-178 (15,05 Mb)

Il Ramo della Fatica


Il Ramo degli Ingressi Alti
di Giancarlo Zuffa
Pagg. 179-198 (29,80 Mb)

Il Ramo degli Ingressi Alti


Cap 8 - I Rami dei Fiorentini
di Franco Utili
Pagg. 199-222 (38,76 Mb)

I Rami dei Fiorentini


I Tre Rami
di Matteo Baroni
Pagg. 223-244 (34,34 Mb)

I Tre Rami


La Fauna
di Stefano Vanni
Pagg. 245-255 (13,48 Mb)

La Fauna


Schede d'Armo
di Franco Utili
Pagg. 257-285 (40,25 Mb)

Schede d'Armo


Cronologia delle Esplorazioni
di Franco Utili
Pagg. 287-298 (9,91 Mb)

Cronologia delle Esplorazioni


Bibliografia
di Eros Aiello, Francesco De SIo, Rodolfo Giannotti, Franco Utili, Stefano Vanni
Pagg. 299-335 (26,89 Mb)

Bibliografia


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