L'ANTRO DEL CORCHIA
O BUCA D'EOLO

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La storia e gli avvenimenti

 

A cura di
Franco Utili

Testi di
Eros Aiello, Matteo Barobi, Francesco De Sio, Rodolfo Giannotti,
Giovanni Lenzi, Luciano Salvatici, Franco utili,
Stefano vanni, Giancarlo Zuffa

Collaborazione per la cartografia di
Fabrizio Fallani

Collaborazione per le schede d'armo di
Matteo Baroni, Paolo Mugelli e Michele SIvelli



Speleo Club Firenze
Gruppo Spleleologico Fiorentino


 

PREMESSA

Il progetto di raccontare l’Antro del Corchia aveva sollecitato l’interesse mio e di Luciano Salvatici che, per le sue capacità editoriali, era destinato a curarne la realizzazione. La sua scomparsa, assieme alla convinzione che difficilmente qualcuno avrebbe potuto o voluto raccontare gli avvenimenti di quegli anni, mi ha costretto a raccogliere il testimone e a cimentarmi con questa impresa.
Il lavoro si è poi ampliato fino ai giorni nostri ed è divenuto quindi frutto di diverse intelligenze per cui risente della diversa formazione e delle differenti impostazioni, risultando conseguentemente poco omogeneo.
Il filo conduttore del lavoro è stato l’inserimento di tutti i dati che possono interessare non solo l’esploratore passato, ma soprattutto quello di oggi. Vi è quindi una ricca documentazione iconografica relativa all’avanzamento delle esplorazioni e ai relativi rilievi, mai raccolti tutti insieme. Lo stesso discorso vale anche per la documentazione fotografica dell’epoca anche se molte immagini uniche sono di scarso pregio, del che ne siamo perfettamente consci, ma abbiamo ritenuto necessario inserirle perché assieme al testo testimoniano delle difficoltà di documentare per immagini le esplorazioni.
Abbiamo poi voluto arricchire il volume con una Cronologia delle Esplorazioni che rendesse giustizia a quanti in questi anni si sono avvicendati nelle ricerche. Volutamente si sono trascurate quelle che niente hanno aggiunto alla conoscenza dell’Antro.
Anche il capitolo relativo alle Schede d’Armo è stato inserito per permettere a tutti di poter valutare le difficoltà delle esplorazioni e il materiale necessario per affrontarle.
Infine la Bibliografia, pur nella consapevolezza che qualche titolo si sia dimenticato, contiene tutti gli elementi e i riscontri delle esplorazioni e delle ricerche che si sono succedute dalla scoperta dell’Antro ai giorni nostri, ed è sicuramente un buon punto di partenza per quanti vorranno cimentarsi nell’esplorazione nel prossimo futuro.
Volutamente il taglio generale del lavoro è stato pensato perchè il libro potesse essere letto non solo dagli addetti ai lavori ma anche dai non speleologi, in modo che vi potessero trovare sia risposte alle loro domande ma anche .le sensazioni che l’esplorazione speleologica può dare. Quindi un libro tecnico-scientifico da una parte, un libro divulgativo e di avventure dall’altra.
Comunque ci scusiamo in anticipo di tutte le nostre manchevolezze nella speranza che la lettura dei testi restituisca il clima delle esplorazioni e, assieme a rilievi e foto, possa rendere partecipi i nostri lettori di una storia esaltante che dal 1840 si prolunga fino a oggi e oltre.

Franco Utili

 

CARATTERI GEOLOGICI E IDROGEOLOGICI
DEL MONTE CORCHIA

di Eros Aiello

Inquadramento geologico e strutturale regionale

L’Appennino Settentrionale è una catena orogenica strutturalmente complessa, formatasi a partire dal Cretaceo superiore in seguito alla completa chiusura dell’Oceano Ligure-Piemontese ed alla successiva collisione continentale tra la placca europea e quella adriatica (Boccaletti & Coli, 1983).
In tale contesto si distinguono una fase oceanica ed una fase intracontinentale (Boccaletti et alii, 1980; Treves, 1984; Principi & Treves, 1984). La fase oceanica inizia al limite tra il Cretaceo inferiore ed il Cretaceo superiore, e termina nell’Eocene medio con la completa chiusura dell’Oceano Ligure-Piemontese (Fig. 1). Durante questa fase si forma un prisma d’accrezione costruito dall’impilamento per sottoscorrimento verso W delle coperture oceaniche e di parte del loro basamento, che andranno così a costituire le cosiddette Unità Liguri. Segue, nell’Eocene medio-superiore la collisione tra il margine continentale europeo (Sardo-Corso) e quello adriatico che dà inizio alla fase intracontinentale dell’orogenesi appenninica. In questa fase si ha lo sviluppo di una tettonica a thrust e falde con sottoscorrimento verso W dell’Unità Toscane, prima, e di quelle Umbro-marchigiane poi, sotto le unità precedentemente impilate. Fenomeni gravitativi e di retroscorrimento, anche importanti, accompagnano in superficie questa strutturazione crostale. In questa fase il fronte compressivo, che migra verso E, è seguito, a partire dal Miocene medio, da un fronte distensivo, legato alla distensione crostale che ha portato all’apertura del Bacino Tirrenico. Attualmente i due regimi tettonici diversi coesistono in due fasce contigue della catena: nel versante tirrenico è attivo il regime distensivo, in quello adriatico quello compressivo.

Schema dell’evoluzione orogenica dell’Appennino Settentrionale

Il monte Corchia (Foto F. Utili, SCF GSF)

Schema dell’evoluzione orogenica dell’Appennino Settentrionale

Fig. 1 – Schema dell’evoluzione orogenica dell’Appennino Settentrionale dal Cretaceo superiore al Miocene inferiore. 1= Unità Corse; 2=Supergruppo del Vara; 3=Supergruppo del Trebbia; 4=Supergruppo della Calvana; 5=Complesso di Canetolo; 6=Successioni Epiliguri; 7=Dominio Toscano; 8=Dominio Umbro-romagnolo.
(da Principi e Treves, 1984; modificato).

Da un punto di vista regionale questa complessa storia tettonica ha portato prima (Cretaceo superiore-Eocene) allo sradicamento delle Unità Liguri dal loro substrato oceanico e al loro appilamento su se stesse secondo un ordine tettonico-geometrico che vede in alto le unità più interne e in basso le più esterne, tra cui ricordiamo l’Unità della Calvana. Tutto questo complesso di Unità Liguri sovrasta tettonicamente l’Unità di Canetolo (Eocene-Oligocene) attribuita a una zona di transizione con il margine continentale adriatico. Successivamente, dopo la messa in posto della Falda Toscana (Dominio Toscano interno), avvenuta nel Miocene medio-superiore, sopra la più esterna Unità Cervarola-Falterona, le Unità Liguri si sono rimosse, per mettersi in posto prima sopra la Falda Toscana, e poi sopra l’Unità Cervarola-Falterona già sovrascorsa verso E (Tortoniano) sulla Marnoso-arenacea del Dominio Umbro-Marchigiano.

Successivamente alla loro prima messa in posto, i principali accavallamenti sono stati rimobilizzati e riattivati secondo sovrascorrimenti minori interni alle varie unità, dando localmente geometrie molto complesse con sovrascorrimenti precedentemente tagliati e ripiegati da quelli successivi. Tali fasi compressive sono riferibili principalmente al Messiniano, al Pliocene inferiore e nei settori più esterni al Pliocene superiore (Fig. 2).

Evoluzione della catena orogenica appenninica dall’Eocene superiore all’Attuale

Fig. 2 – Sezioni interpretative dell’evoluzione della catena orogenica appenninica dall’Eocene superiore all’Attuale. 1=sutura dell’Oceano Ligure per subduzione verso W; 2=collisione del margine dell’Adria con la Placca Iberica; 3=raccorciamento di scglie di crosta continentale; 4=compressione nelle zone esterne (orientali) della catena, accompagnata da distensione in quelle interne (occidentale); 5=oceanizzazione del Dominio Tirrenico, associata a distensione nella catena e compressione nella fascia padano-adriatica.
(da Carmignani & Kligfield, 1990; modificato).

Nel frattempo erano cominciati nelle aree più occidentali i movimenti disgiuntivi che hanno portato, attraverso una serie di faglie normali principali immergenti verso W, allo smembramento della catena a falde, precedentemente costituita, con lo sviluppo di depressioni tettoniche a semi graben (bacini intermontani) sempre più giovani da W verso E, tra cui ricordiamo il bacino del Valdarno superiore, sviluppatosi a partire dal Pliocene superiore, e i bacini di Firenze-Pistoia, del Mugello e del Casentino, attivi dal Pleistocene inferiore.

Studi recenti sui bacini estensionali (Bernini et alii, 1992; Boccaletti et alii, 1991, 1995) hanno posto l’evidenza sul fatto che questi sono stati interessati anche da vari eventi compressivi, che si sarebbero alternati alla prevalente tettonica estensionale. Vi sono ancora indeterminazioni nel definire se queste pulsazioni siano da mettere in relazione con generali shock compressivi dell’intera catena appenninica, oppure se siano legate a costipamento laterale causato da repentini approfondimenti dei bacini in concomitanza con pulsazioni estensive maggiormente pronunciate legate alle maggiori compressioni nella zona esterna della catena.

Evoluzione della catena orogenica appenninica dall’Eocene superiore all’Attuale

Il Rifugio Del Freo e il versante Est del monte Corchia


Inquadramento stratigrafico-strutturale locale

Le Alpi Apuane rappresentano un’area chiave nel quadro geologico dell’Appennino Settentrionale. Infatti, risultano concentrati in pochi chilometri quadrati tutti i suoi principali caratteri geologici: Unità Metamorfiche, Falda Toscana, Unità Liguri e bacini neogenici (Coli & Pandeli, 1992; Coli et alii, 2003).

Tuttavia la caratteristica principale dell’area apuana è legata alla presenza dei terreni metamorfici, “Complesso Metamorfico Apuano”, costituenti l’unità strutturalmente più bassa affiorante nell’intero edificio a falde e thrusts dell’Appennino Settentrionale (Fig.3).

Schema dell’evoluzione orogenica Schema geologico del nucleo metamorfico Apuano

Fig. 3 – Schema geologico del nucleo metamorfico Apuano.
(da Coli et alii, 2003; modificato)

Bisogna ricordare che è solamente a partire dagli anni trenta (Tilmann, 1929; Kober, 1927, 1935; Staub, 1932; e Teichmuller 1935) e poi negli anni cinquanta (Ippolito, 1950; Merla, 1951) che il carattere di alloctonia della Falda Toscana sul nucleo metamorfico apuano, ritenuto alloctono, viene accertato e accettato. Negli anni settanta e ottanta, l’assetto tettonico-metamorfico dell’area apuana è indagato in dettaglio (Carmignani & Giglia, 1975, 1977, 1979, 1983, 1984, Carmignani et alii, 1978, 1980, Boccaletti et alii, 1982, 1983; Capitani & Sani, 1983; Moratti et alii, 1989) risolvendo alcune problematiche tra cui il “problema della doppia vergenza” dovuta solamente ad un’interpretazione restrittiva dello sviluppo delle pieghe duttili Apuane (Coli & Pandeli, 1992). Queste infatti costituiscono delle vere e proprie falde duttili di primo ordine con conseguente notevole alloctonia dell’intero complesso metamorfico apuano.

Negli stessi anni vengono anche svolti dettagliati studi sul metamorfismo (Tucci, 1980; Di Pisa et alii, 1985), sull’età delle deformazioni tettonico-metamorfiche (Kligfield et alii, 1986), sulla litostratigrafia e sull’assetto strutturale delle successioni meso-cenozoiche e paleozoiche del nucleo metamorfico (Barberi & Giglia, 1966; Carmignani & Giglia, 1975; Coli et alii, 1988; Coli, 1989, Conti et alii, 1991, Coli & Fazzuoli, 1992).

Dal punto di vista sedimentologico, sul margine continentale dell’Adria, sin dal Triassico inizia, quindi, la deposizione della Successione Toscana al di sopra di un basamento paleozoico di età Cambiano superiore-Devoniano (Conti et alii, 1991; Abbate, 1992; Pandeli et alii, 1994; Coli et alii, 2003;). Tale basamento ercinico, coinvolto nella zona di megashears tra placca europea e placca africana, viene a trovarsi in condizioni alternanti di transpressione e transtensione almeno sino a tutto il Triassico medio (Rau, 1990). Le fasi distensive del Triassico Superiore creano le condizioni per un progressivo distacco dell’Europa stabile per l’instaurarsi di un margine continentale passivo. È su questa struttura che comincia la sedimentazione della Successione Toscana, dapprima coi sedimenti clastici (Formazione del Verrucano) delle fasi iniziali del rifting, e poi con le successioni di mare basso, prevalentemente carbonatiche.

La presenza di blocchi basculati in diverse direzioni determina dal Triassico Superiore una paleogeografia articolata (Passeri, 1984) con piattaforme evaporitiche (Anidridi di Burano), margini di piattaforme carbonatiche (Grezzoni), e bacini ristretti in approfondimento (Formazione di La Spezia s.l.).

Durante il Liassico inferiore questa situazione si evolve variamente: in certe aree si arriva ad ambienti decisamente pelagici (Calcari ad Angulati, Formazione di Ferriera), in altre a piattaforme carbonatiche (Calcare Massiccio, Marmi). Queste ultime, con l’eccezione di emersioni locali, si frammentano e collassano (Fazzuoli, 1980). Questo porta durante il Liassico medio-superiore (Rosso Ammonitico) ad un ambiente abbastanza profondo ed esteso a tutto il bacino.

Nel Liassico superiore e nel Dogger questa subsidenza si fa marcata (Calcari selciferi di Limano, Marne a Posidonomia) in concomitanza con l’apertura dell’Oceano Ligure e si individuano bacini con tassi di sedimentazione elevati (Bacino del Serchio-Lima).

Il margine continentale si mantiene profondo almeno per alcune migliaia di metri durante la deposizione delle radiolariti (Diaspri – Malm) e dei fanghi a nanoplancton (Maiolica – Titanico-Barresiano).

Nel Cretaceo inferiore alcune aree sono soggette ad intenso block faulting con produzione di megabrecce, ma nel complesso sul margine perdura una lunga fase, dal Cretaceo inferiore all’Oligocene, di lento accumulo di depositi emipelagici (Scisti Policromi) saltuariamente interrotta da depositi clastici grossolani.

Al passaggio tra l’Oligocene inferiore ed il superiore il bacino viene invaso bruscamente da imponenti apporti torbiditici silicoclastici (Macigno, Pseudomacigno e Arenarie di Monte Modino) di provenienza alpina. A seguito della subduzione ensialica che incalza da ovest, il bacino profondo al piede del margine passivo diviene una avanfossa asimmetrica (Treves, 1984), e successivamente, con il proseguire di tale subduzione si ha la migrazione verso oriente dei bacini di sedimentazione torbiditica.

Proprio ad una zona di taglio ensialica con deformazione di prima fase fortemente asimmetrica, con vergenza orientale è riferibile il nucleo metamorfico apuano (Carmignani et alii, 1978). A questi eventi compressivi responsabili del sovrascorrimento della Falda Toscana sul nucleo metamorfico e causa del metamorfismo sincinematico sono seguiti quelli distensivi con detachments a basso angolo (Carmignani & Kligfield, 1990).

Tale complesso metamorfico, caratterizzato da metamorfismo di basso grado sin-tettonico polifasico alpino, è diviso in due principali unità tettoniche: Unità di Massa e Nucleo Metamorfico Apuano.

L’Unità di Massa affiora sul lato occidentale del Complesso Metamorfico Apuano. È costituita da successioni paleozoiche riconducibili a quelle del Nucleo Metamorfico Apuano, sulle quali poggiano, in discordanza stratigrafica, due cicli sedimentari triassici. Il ciclo inferiore, ciclo di rift abortito (Martini et alii, 1986) di età anisica-ladinica, è costituito da depositi silico-clastici continentali e/o passanti in alto a depositi di piattaforma carbonatica e poi a depositi nefritico-pelagici a composizione silicoclastica-carbonatica con chiari caratteri di risedimentazione gravitativa (Coli & Pandeli, 1992). Il ciclo sedimentario superiore (Ladinico?-Carnico) è costituito in gran parte da depositi di ambiente fluviale, passanti in lato a depositi probabilmente continentali-litorali, che si sovrappongono con contatto erosivo, sui terreni del ciclo precedente. Su questo secondo ciclo poggia tettonicamente la Falda Toscana, con l’interposizione di un livello da metrico a decametrico di Brecce Poligeniche. Questa Unità presenta il più alto grado di metamorfismo riscontrabile nell’Appennino Settentrionale, con paragenesi a cianite+cloritoide che implica T>420°C per P=3-4 kbar (Franceschelli, 1986).

Il Nucleo Metamorfico Apuano rappresenta a scala regionale il più esteso affioramento delle successioni metamorfiche toscane, non solo per quanto riguarda i termini mesozoico-terziari, ma anche per il basamento paleozoico, che in questo settore raggiunge uno sviluppo areale e verticale considerevole.

La successione paleozoica del basamento, che mostra anche i segni di un evento tettonico-metamorfico ercinico, insieme alla sovrastante copertura sedimentaria triassico-oligocenica è stata fortemente coinvolta nei processi deformativi terziari della tettogenesi appenninica.

Per quanto riguarda i depositi attribuibili al Paleozoico apuano (Conti, 1991; Coli & Pandeli, 1992) volendo ricostruire una schematica successione stratigrafica, questa potrebbe essere costituita dal basso verso l’alto dalle seguenti formazioni (Fig. 4):

Filladi inferiori (Cambiano superiore? – Ordoviciano inferiore?): alternanza di filladi sericitico-cloritiche, quarzose, da grigie a grigio-verdastre, e di metagrovacche grigio verdi. Talora a questa successione, di ambiente marino e a sedimentazione torbiditica, sono localmente associate lenti di metabasiti.

In probabile discordanza, probabilmente dovuta ad una fase erosiva relativa all’evento orogenica caledoniano, sulle Filladi inferiori la successione Paleozoica apuana continua con:

Porfiroidi e Scisti porfirici (Ordoviciano medio?): metavulcaniti massive, da grigio chiare a verdastre, e metareniti scistose e filladi da verdi a grigie fino a nere. Questi litotipi sono interpretabili (Carmignani et alii, 1991) come vulcaniti sin-orogeniche e relativi derivati clastici di ambiente continentale.

Metarenarie, quarziti e filladi (Ordoviciano superiore?): alternanza di metarenarie quarzose e di quarziti, da fini a grossolane, con filladi sericitiche grigie. Rappresenterebbero depositi clastici trasgressivi, da litorali a marini poco profondi.

Filladi grafitose a Liditi (Siluriano): orizzonte realmente molto discontinuo costituito da filladi e filladi quarzoso granitiche, talora con livelletti microquarzitici nerastri (“Liditi”).

Dolomie scistose ad Orthoceras (Siluriano superiore): dolomie e dolomie calcaree cristalline, da grigie a nerastre, con livelli filladico-grafitosi generalmente discontinui. Questa formazione, come la precedente, è attribuibile ad un ambiente francamente marino, neritico-pelagico, riducente. I livelli carbonatici contengono faune a crinoidi, nautiloidi, ostracodi e conodonti del Ludloviano (Vai, 1972; Bagnoli & Tongiorgi, 1979).

Calcescisti e Calcari nodulari di Retignano (Devoniano): alternanza di calcescisti e metacalcari dolomitici con livelli di filladi sericitico-cloritiche grigie e verdastre; metacalcari dolomitici da grigi a rossastri, spesso nodulari con sottili livelli filladici da grigio scuri a grigio verdi. Litologie di probabile ambiente pelagico contenenti conodonti.

Dal punto di vista tettonico la fase pre-alpina è caratterizzata dalla sovrapposizione dei Porfiroidi e Scisti porfirici sulle Filladi inferiori riferibile all’evento deformativo caledoniano (Conti et alii, 1991), analogamente alla fase Sarda esposta in Sardegna. Inoltre tutte le formazioni paleozoiche, ed in particolare le Filladi inferiori, presentano i segni di almeno un evento tettono-metamorfico pre-alpino, assimilato da Conti et alii (1991) alla fase sudetica alpina. Gli stessi autori hanno messo in evidenza anche la presenza di strutture plicative pre-alpine, rappresentate essenzialmente da sinclinali con al nucleo i terreni siluriano-devoniani, sulle quali poggiano in netta discordanza stratigrafica i terreni del ciclo sedimentario alpino.

Litostratigrafia delle Formazioni paleozoico-triassiche del Nucleo Metamorfico Apuano

Fig. 4 – Litostratigrafia delle Formazioni paleozoico-triassiche del Nucleo Metamorfico Apuano.
(da Coli & Pandeli, 2002).

La successione stratigrafica alpina apuana (Fig. 5) è costituita da un ciclo sedimentario che inizia con depositi continentali/costieri del Triassico medio-superiore, ai quali seguono quelli di piattaforma carbonatica del Triassico superiore-Liassico inferiore. Questi ultimi passano poi verticalmente a una sedimentazione pelagica, calcareo-marnoso-silicea nel Giurassico medio superiore-Cretaceo inferiore, quindi a peliti prevalenti nel Cretaceo superiore-Oligocene, ed infine ad arenarie torbiditiche di avanfossa nell’Oligocene superiore. Nel suo insieme la successione sedimentaria apuana ricorda, sebbene con alcune peculiari diversità, quella della sovrastante Falda Toscana; ad esempio, entrambe presentano lacune ed eteropie laterali legate ad una complessa articolazione della paleomorfologia del fondo durante il Mesozoico-Terziario.

Nel suo sviluppo più completo e dal basso verso l’alto si possono distinguere, al di sopra della superficie di discordanza di base del ciclo alpino, le seguenti formazioni:

Verrucano (Ladinico superiore?-Carnico): metaconglomerati quarzosi di colore da grigio-violetto a verdastro; localmente sono presenti anche livelli quarzitici e intercalazioni filladiche.

Formazione di Vinca (Carnico-Norico): alternanza di livelli di quarziti carbonatiche grigio rossastre e di dolomie microcristalline, da biancastre-avana a grigie, con livelli arrossati; intercalazioni centimetriche di filladi e filladi quarzose grigie e grigio-verdi. I litotipi carbonatici sono prevalenti verso l’alto.

Grezzoni (Norico-Retico inferiore): dolomie microcristalline grigie e grigie scure in strati e banchi; alla base spesso sono presenti livelli di metabrecce autoclastiche con elementi dolomitici. Alla base della formazione è di solito presente un orizzonte di brecce dolomitiche che indicano fasi di sedimentazione e di erosione in diversi ambienti della piattaforma carbonatica. Seguono facies oolitico-stromatolitiche di ambiente marginale ad alta energia delimitanti facies dololutitiche di ambiente lagunare a bassa energia.

Marmi a Megalodonti (Retico superiore): alternanza di dolomie biancastre o avana in strati e banchi con metacalcari marnosi neri (“Nero di Colonnata”) o marmi da grigi a chiari, interstrati di filladi verdi e giallastre; presenza di molluschi, brachiopodi e lumachelle a megalodonti.

Brecce di Seravezza (Hettangiano basale?): metabreccia a clasti di marmo e dolomie color avana, e a luoghi di grezzoni, in matrice filladica verde e rossastra. In molte località è presente come livello discontinuo di filladi scure a cloritoide denominato Scisti a Cloritoide.

Marmi dolomitici (Hettangiano inferiore): marmi grigi, con dolomie chiare in livelli e strati da centimetrici a metrici; localmente sono presenti masse compatte di dolomia chiara a grana grossolana (Dolomia Cristallina Saccaroide).

Marmi (Hettangiano): marmi bianchi, avorio, venati e grigi, compatti ed omogenei con corpi e livelli di metabrecce marmoree. I Marmi costituiscono nel loro insieme una delle più importanti formazioni del Nucleo Metamorfico Apuano, soprattutto per il loro utilizzo e la loro notorietà, sin da epoca romana, come pietra ornamentale. In base ai diversi caratteri litologici, microstruttrali e mineralogici possono essere divisi in Marmi di derivazione tettonica e in Marmi di origine sedimentaria. I primi sono costituiti dai vari Nuvolati, Calacatta, Fantastico, Fior di Pesco, etc..e si ritrovano in zone di cerniera di pieghe strette o isoclinali, o lungo i fianchi inversi delle grandi strutture anticlinaliche di laminazione. I secondi quali il Marmo Dolomitico, Marmi Venati, Bianchi, Bardigli e Brecce, sono, invece, il risultato delle deformazioni tettono-metamorfiche sulle rocce carbonatiche liassiche di piattaforma carbonatica. Su questa sequenza sedimentaria, la deformazione tettono-metamorfica apuana ha mediamente agito in maniera uniforme e sotto condizioni metamorfiche costanti (3-4 kbar e temperature di 350-400°C in Jolivet et alii, 1998).

Calcare rosato (Sinemuriano-Pliensbachiano): metacalcari marnosi avana o nocciola chiaro, in strati decimetrici, a luoghi di aspetto nodulare; verso l’alto con selce ed interstrati di filladi grigie.

Calcari selciferi ad Ammoniti (Liassico superiore): metacalcari grigio scuri in strati decimetrici con selci inletti e fiamme, interletti di filladi grigio giallastre con pirite e noduli limonitici; frequenti ammoniti limonitizzate.

Calcescisti (Dogger): metacalcari bruni e grigi in livelli fittamente foliati, strati decimetrici di calcescisti grigio-verdastri; con selce.

Diaspri e Scisti Diasprini (Malm): metaradiolariti rosse, viola, e verdi, con filladi quarzitiche e metacalcari silicei.

Calcari selciferi ad Entrochi (Cretaceo inferiore): metacalcari grigi in strati da decimetrici a metrici, con liste, noduli e fiamme di selce.

Scisti Sericitici Varicolori (Cretaceo inferiore-Oligocene): filladi sericitiche e sericitico-cloritiche verdastre, rosso-vinaccia o grigie; livelli di metacalcari grigio verdi e di metacalcareniti brune in strati da decimetrici a metrici.

Pseudomacigno (Oligocene medio?-superiore): metarenarie quarzoso feldspatiche-micacee gradate, in strati e banchi; livelli di metasiltiti grigio scure ed intercalazioni di filladi nerastre.

Successione litostratigrafica dei terreni alpini

Fig. 5 – Successione litostratigrafica dei terreni alpini (Triassico-Oligocenici) del Nucleo Metamorfico Apuano.
(da Coli & Pandeli, 2002)

Le successioni del Nucleo Metamorfico Apuano sono caratterizzate da condizioni dinamo-metamorfiche di basso grado, in facies di scisti verdi con muscovite+quarzo+clorite+albite+epidoto+cloritoide+biotite (T=350-420°C per P=3-4 kbar in Franceschelli et alii, 1986; T=390-410°C per P=8 kbar in Jolivet et alii, 1998) con un significativo decremento della Tmax dai settori occidentali a quelli orientali.

Dal punto di vista tettonico, durante la fase alpina, a partire dall’Oligocene superiore e dopo la deposizione dello Pseudomacigno, l’intera successione sedimentaria apuana, insieme con il suo basamento ercinico, è andata soggetta alla tettogenesi appenninica. Questa si è manifestata con un sottoscorrimento, in regime di taglio ensialico (Carmignani et alii, 1978), che ha portato le successioni del Complesso Metamorfico Apuano a subire a circa 10 km di profondità, in condizioni metamorfiche di 350-450°C per 3-4 kbar, una deformazione tettono-metamorfica polifasica.

Secondo Carmignani et alii (1980), Carmignani & Kligfield (1990), Carmignani et alii (1994) la struttura sin-metamorfica del Complesso Metamorfico Apuano è interpretabile in base a due eventi deformativi principali: una deformazione compressiva duttile legata alla collisione continentale della Placca Adriatica con quella del Blocco Sardo-Corso ed una deformazione distensiva duttile legata al collasso gravitativo e al riequilibrio isostatico della crosta ispessita. A questo evento deformativo tettono-metamorfico legato ai processi di risalita per riequilibrio isostatico (Carmignani & Giglia, 1978), favoriti anche dalle prime fasi distensive tirreniche (Coli, 1989), è riconducibile la responsabilità della “doppia vergenza” apuana, in quanto ribaltando i piani assiali delle strutture plicative sul suo lato orientale, ha portato i vecchi autori ad una falsa interpretazione generale della struttura apuana. Tali processi sono perdurati in ambiente duttile almeno fino a 8 Ma fa. Gli stessi autori, inoltre, ipotizzano quadri strutturali più complessi dovuti a fenomeni di deformazione progressiva.

In accordo con questi autori due principali eventi tettono-metamorfici in facies a Scisti Verdi possono essere quindi distinti (Molli & Meccheri, 2000; Coli et alii, 2003):

– Evento D1 sin-collisionale (età radiometrica 27 Ma da Kligfield et alii, 1986), durante cui la pila antiforme delle Unità si completò.
– Evento D2 estensionale (età radiometrica 12-14 Ma da Kligfield et alii, 1986), dovuto al denudamento isostatico della pila tettonica e caratterizzata da detachments a basso-angolo e pieghe rovesce di trascinamento.

Il denudamento del Complesso Metamorfico Apuano continuò in età Mio-Pliocenica (Kligfield et alii, 1986; Abbate et alii, 1994) e la sua esumazione avvenne durante il Pliocene (Federici & Rau, 1980).

Nel quadro dell’evoluzione del Complesso Metamorfico Apuano una posizione importante è rilevata dalle Brecce Poligeniche presenti ed interposte ovunque tra questo complesso e la sovrastante Falda Toscana; Brecce che vanno riferite a circa 8 Ma fa, età durante la quale la storia deformativa apuana ha presentato una riemersione di tutto il complesso superando il limite duttile/fragile.

Tali Brecce Poligeniche, da clasto – a matrice – sostenute, sono costituite da clasti spigolosi provenienti sia dal substrato metamorfico sia dalla sovrastante Falda Toscana. La matrice è costituita da silt carbonatico giallastro; l’intero corpo delle brecce risulta fortemente cementato. Secondo alcuni autori (Dallan Nardi & Nardi, 1973; Patacca et alii, 1973; Federici & Raggi, 1974) tali brecce sono di origine sedimentaria in ambiente marino, mentre secondo Carmignani & Kligfield (1990) e Carmignani et alii (1991) le brecce interposte tra Falda Toscana e Complesso Metamorfico Apuano sono brecce tettoniche lungo il contatto di base della Falda Toscana. Questo orizzonte tettonico ha funzionato come thrust NE vergente nell’Oligocene superiore durante la fase collisionale e come superficie di scollamento (“detachment”) durante la fase tettonica distensiva tardo miocenica e più recente. Le brecce di origine sedimentaria poggerebbero invece in discordanza sopra la Falda Toscana (Coli & Pandeli, 1992) e sarebbero quindi contemporanee alla tettonica distensiva post-collisionale.

La scelta di una o l’altra ipotesi sull’origine delle Brecce Poligeniche porta allo sviluppo di due scenari di evoluzione tettonica Falda Toscana-Alpi Apuane nettamente distinti.

Nel caso dell’origine sedimentaria il quadro è quello riassunto da Coli (1989) (Fig. 6) e prevede una prima riesumazione del Complesso Metamorfico Apuano a circa 8 Ma fa, quindi la sedimentazione delle Brecce, il sovrascorrimento della Falda Toscana e la ripresa della tettonica estensiva tirrenica. Da allora le Apuane avrebbero subito una ulteriore emersione, in regime fragile, fino a superare di nuovo, a circa 4 Ma fa l’isograda dei 100°C (Abbate et alii, 1990). Intorno a 2.5 Ma l’erosione doveva aver raggiunto i terreni metamorfici, mentre nel pre-Wurm l’orografia doveva essere simile all’attuale.

Il saggio di cava del RetroCorchia

Il saggio di cava del RetroCorchia

Eventi deformativi che hanno interessato l’area apuana

Fig. 6 – Tavola sinottica degli eventi deformativi che hanno interessato l’area apuana.
(da Coli, 1989)

Nel secondo caso (origine tettonica) il quadro di riferimento vede la messa in posto della Falda Toscana già nell’Oligocene, come responsabile delle deformazioni tettono-metamorfiche Apuane. A partire da 12 Ma si sarebbe verificato un unico processo di riemersione del Complesso prima in regime duttile (8 Ma fa) e poi in regime fragile, fino a superare l’isograda dei 100°C, circa 4 Ma fa. Il nucleo apuano sarebbe poi stato scoperchiato appunto a 2.5 Ma fa; questo tipo di riesumazione sarebbe avvenuto in un contesto geodinamico legato all’assottigliamento di una catena orogenica per collasso gravitativo.

Il monte Corchia da Levigliani.

Il monte Corchia da Levigliani.
(Foto F. Utili, SCF GSF)


Geologia del monte Corchia

I terreni affioranti lungo le pendici del monte Corchia, appartenenti alla Sinclinale di Orto di Donna-M.Altissimo-M.Corchia, rappresentano una ottimo scenario della Successione metamorfica Apuana ed in particolare lungo la strada marmifera delle Cave Tavolini (Fig. 7, Fig. 8) si ha la possibilità di attraversare, a grandi linee, tutta la successione litostratigrafica dell’area, in questo caso sul fianco normale della Sinclinale del Corchia, e di osservare gran parte delle Formazioni paleozoiche del Nucleo Metamorfico Apuano.

Visione panoramica del monte Corchia

Fig. 7 – Visione panoramica del monte Corchia. Fl=Filladi inferiori; Ps=Porfiroidi e Scisti porfirici; Do=Dolomie ad Orthoceras; L=Filladi grafitose con Liditi; Ma=Metarenarie, quarziti e filladi; fl=Filladi e metarenarie; Vr=Verrucano e Formazione di Vinca; Gr=Grezzoni; mM=Marmi a Megalodonti; BrS=Brecce di Seravezza; brM=Metabrecce marmoree; Mv=Marmo venato; MA=Marmo Arabescato; cr=Calcare Rosato.
(da Coli & Pandeli, 1992, modificato)

Nella porzione basale affiorano le filladi quarzifere e quarziti delle Filladi inferiori costituite prevalentemente da metapeliti e metasiltiti nelle quali sono intercalati livelli di metarenarie a grana medio-fine. Da un punto di vista strutturale queste rocce risultano fortemente pervase dalla scistosità di piano assiale delle pieghe isoclinali alpine di prima fase. Ortogonalmente a questa scistosità è presente, particolarmente nelle litologie fini, un layering metamorfico pre-alpino.

Spesso questi depositi hanno subito fenomeni di alterazione idrotermale rappresentati da silicizzazioni, mineralizzazioni a pirite, spesso ossidate e/o limonitizzate, e fioriture giallastre di zolfo.

Salendo nella serie si incontrano gli Scisti porfirici e i Porfiroidi (Fig. 8) in affioramenti alternanti tra loro e costituiti i primi da metarenarie grigie e grigio scuro da grossolane e medio fini ad aspetto marcatamente scistoso, con subordinate intercalazioni filladiche grigie e nerastre; i secondi invece sono caratterizzati dalla presenza di metavulcaniti grossolani di colore grigio e grigio chiaro-biancastro con patine giallastre-ocracee per l’alterazione. Rispetto alle altre formazioni paleozoiche i Porfiroidi, a causa delle loro peculiarità litologica, appaiono meno intensamente interessati dalla scistosità di prima fase alpina, sebbene questa si manifesti sempre in maniera pervasiva anche se maggiormente spaziata.

Contatto tra Filladi inferiori e Porfiroidi

Fig. 8 – Contatto tra Filladi inferiori e Porfiroidi sulla scarpata di monte della strada marmifera delle Cave Tavolini.
(da Coli & Pandeli, 1992, modificato)

Il passaggio tra i Porfiroidi e le sovrastanti Filladi grafitose con Liditi si presenta brusco, sebbene localmente deformato da strutture plicative. Questi depositi sono per la maggior parte costituiti da filladi e filladi quarzose di colore nero, per la presenza di un ricco contenuto in materiale organico. Spesso risultano interessate da idrotermalismo e da fenomeni di alterazione dei solfuri. Nella massa metapelitica, caoticizzata, sono osservabili livelli più competenti di diversa litologia: livelli nerastri silicei riferibili a liditi; livelli bruno-verdastri, talora cariati e ad aspetto terroso per fenomeni di decalcificazione, riferibili ad originarie intercalazioni calcareo-dolomitiche delle Dolomie ad Orthoceras. Dato che questi litotipi sono tra i più plastici dell’intero Complesso le deformazioni risultano particolarmente penetrative e traspositive, spiegando così le forti variazioni di spessore di questa formazione anche in aree limitrofe.

Nel settore i depositi attribuibili alle Filladi grafitose con Liditi sembrano costituire il nucleo di una struttura sinclinalica ercinica relitta (Coli & Pandeli, 1992).

Le soprastanti Metarenarie, quarziti e filladi sono costituite da una ripetuta alternanza di filladi e filladi quarzose color grigio piombo e di metarenarie quarzose color grigio e grigio chiaro. Questi depositi rappresenterebbero il fianco inverso della struttura sinclinalica ercinica.

Il passaggio tra queste e le sovrastanti Filladi verdastre e grigie con livelli metarenacei è brusco. Quest’ultima formazione a composizione prevalentemente filladica, di colore generalmente verdastro, non presenta i relitti di scistosità pre-Alpina; quest’assenza renderebbe verosimile l’attribuzione di questa successione a metasedimenti permo-triassici.

In corrispondenza di questa formazione si nota un evidente gradino morfologico, facilmente individuabile lungo gran parte del versante meridionale del monte Corchia. Verso nord questi depositi tendono a ridursi di spessore fino a scomparire al di sotto dei metaconglomerati del Verrucano (Pandeli, 2002; Coli et alii, 2003; Pandeli et alii, 2004).

Il contatto (Fig.9; Fig.10) tra la precedente successione e i soprastanti metaconglomerati del Verrucano avviene in maniera brusca e con contatto erosivo. Questi depositi conglomeratici, presentano clasti poligenici e scarsamente cerniti, immersi in una matrice quarzitico-filladica di colore grigio-violaceo. Dal punto di vista strutturale la scistosità penetrativa risulta crenulata da un successivo evento deformativo.

Sezione stratigrafica

Fig. 9 – Sezione stratigrafica di dettaglio del Verrucano e della Formazione di Vinca.
(da Coli et alii, 2003, modificato)

Al di sopra del Verrucano si trova un orizzonte di circa 5-6 m di spessore costituito da dolomie da biancastre a avana a grigio-rossastre, con intercalazioni di filladi grigio-verdastre. Questo intervallo, rappresentante la Formazione di Vinca (Coli et alii, 2003), rappresenta il passaggio graduale per alternanza ai sovrastanti Grezzoni, qui costituenti una successione potente oltre 200 m (Fig.9).

In questa Formazione sono riconoscibili alcuni intervalli sedimentologici ben definiti. Il livello basale è rappresentato da brecce dolomitiche a cui si alternano strati di dolomie a struttura massiva a cui fa seguito una successione di strati dolomitici a tessitura da lutitica ad arenitica, con livelli di brecciole dolomitiche, ed infine banchi massivi dolomitici di alcuni metri, con rari livelli di brecciole dolomitiche. Nel loro complesso i caratteri sedimentologici dei Grezzoni del monte Corchia suggeriscono per le brecce una origine sedimentologica legata a fasi di erosione e di sedimentazione oppure legata a trasporti di massa; mentre il resto della successione è dovuta a sedimentazione di tipo ciclico, sebbene attenuato nella porzione sommitale, in un ambiente di tipo lagunare.

Sezione lungo la strada delle Cave Tavolini

Fig. 10 – Sezione lungo la strada delle Cave Tavolini. Pa=Paleozoico s.l.; Ph=Metasiltiti e filladi varicolori;
Ve=Verrucano; Vi=formazione di Vinca; Gr=Grezzoni.

(da Coli et alii, 2003, modificato)

A questi seguono poche decine di metri di Marmi a Megalodonti, costituiti alla base da dolomie di colore grigio chiaro o giallastro, e poi da marmi da grigi a biancastri con interstrati di dolomia e di filladi giallo-verdastre. Al tetto di alcuni strati compaiono livelli di metabrecce a clasti marmorei che talora tendono ad aumentare di spessore fino a costituire il corpo stesso della Formazione. La presenza di queste metabrecce starebbe ad indicare da un lato la presenza di marmi retici in grado di fornire i clasti alle sovrastanti Brecce di Seravezza, dall’altra la forte instabilità tettonica dell’area del monte Corchia durante il Retico terminale (Coli & Pandeli, 1992).

Le sovrastanti Brecce di Seravezza, ben esposte in un vecchio taglio di cava, legate a fenomeni deposizionali di debris flow dapprima sono caratterizzate da metabrecce a elementi di grezzoni e marmo in scarsa matrice calcitico-micaceo-quarzitica, a cui seguono metabrecce a elementi marmorei dapprima con poca matrice prevalentemente carbonatica e successivamente a matrice carbonatica alla base e pelitica con cloritoide ed epidoto al tetto.

Proseguendo nella serie e salendo verso la cava alta si entra dalle Brecce di Seravezza ai Marmi. Dapprima vi sono metabrecce marmoree clasto-sostenute di Marmo Statuario, Bianco, Ordinario e Venatino in scarsa matrice filladica e carbonatica, a cui seguono alcuni metri di Marmo Venato di colore grigio chiaro talora alternato a siltiti carbonatiche grigio rosacee e grigio giallastre. Successivamente si trova un’alternanza di livelli di metabrecce marmoree con livelli di Marmo Bianco e Venato, talora preponderanti, e siltiti carbonatiche. Il corpo superiore, principale, è caratterizzato da metabrecce marmoree denominate Arabescato Corchia. Alla base sono presenti alcuni livelli di filladi e siltiti carbonatiche con dispersi elementi marmorei e silicei.

I livelli basali delle metabrecce marmoree mostrano nel loro insieme caratteri sedimentologici simili a quelli delle Brecce di Seravezza, questo porta ad ipotizzare che questo primo livello sia riferibile ad un ambiente marginale della piattaforma soggetto a periodiche emersioni e carsismo. I soprastanti livelli di Marmo Venato sarebbero invece associabili ad un ambiente intertidale (Coli & Fazzuoli, 1992). Il livello superiore delle metabrecce, interpretabile come “Megabrecce”, testimonia che quest’area, nell’Hettangiano superiore, era al margine della piattaforma il cui smembramento a seguito di un’attività tettonica a blocchi ha prodotto l’accumulo delle megabrecce ai piedi delle scarpate di faglia (Coli & Pandeli, 1992).

Nel complesso l’insieme della successione Grezzoni-Marmi, al monte Corchia, suggerisce che quest’area, nel Triassico superiore-Liassico inferiore, rappresentava una zona di alto dell’area apuana; alto che probabilmente, sebbene non vi siano dati certi, doveva perdurare per il resto del Mesozoico.

Infine, salendo in vetta al monte Corchia, si incontra la traccia del piano assiale della Sinclinale del monte Corchia, qui materializzata da uno stretto e lungo affioramento di Calcari rosati.

 

Notazioni idrogeologiche

Come tutte le zone carsiche anche le Alpi Apuane hanno poche risorse idriche superficiali alle quote più elevate, ed è quindi solamente laddove si ha il contatto con il substrato impermeabile che le acque assorbite o inghiottite dalle rocce carsificabili ritornano all’esterno con poche sorgenti, le quali, tuttavia, sono generalmente ricche di acqua.

La morfologia stessa della Alpi Apuane, caratterizzata da versanti ripidi e scoscesi, e i forti dislivelli fra le montagne e i fondovalle influenzano e determinano l’idrografia superficiale. Pertanto nell’area apuana non vi sono fiumi nel senso stretto del termine, bensì solamente torrenti con i corsi a ripida pendenza, alimentati nei periodi meno piovosi quasi esclusivamente dalle sorgenti di origine carsica. I corsi d’acqua che defluiscono ad occidente dello spartiacque apuano si versano tutti direttamente in mare; quelli del versante interno affluiscono invece al Fiume Serchio. In questo bacino il panorama idrogeologico cambia e si presenta di più facile comprensione per l’assenza di depositi alluvionali e per la chiarezza dei rapporti cronologici delle rocce. Sul versante costiero, invece, la situazione è diversa, per la presenza di sorgenti di orlatura, sorgenti carsiche sepolte, falde artesiane e altri fenomeni che complicano la comprensione dell’idrogeologia ipogea.

In generale i bacini costieri delle Alpi Apuane hanno mediamente pendenze ben maggiori di quelli interni; questo fatto, unitamente alla più scarsa vegetazione e ai vasti affioramenti rocciosi, contribuisce alla formazione e al modellamento del tipico aspro paesaggio apuano, che proprio nei bacini di alimentazione dei torrenti costieri trova i suoi aspetti più caratteristici e suggestivi. Morfologicamente, invece, le valli che scendono nel versante interno nei bacini del Serchio e dell’Aulella sono meno ripide e rocciose, con regime idrico tipicamente carsico, con corsi di acqua di portata insignificante a monte delle principali sorgenti, che sono situate quasi ovunque nei fondovalle.

In particolare nel bacino del Fiume Serchio troviamo le principali sorgenti carsiche legate all’orizzonte delle filladi del Retico, che affiorano generalmente a 500 m di quota; mentre, nei bacini costieri, le sorgenti principali scaturiscono in maggioranza in corrispondenza delle filladi inferiori paleozoiche, ad una quota prossima ai 200 m s.l.m..

Ogni sorgente, che date le altitudini delle Alpi Apuane e le caratteristiche precedentemente descritte può avere nel suo bacino di alimentazione anche zone situate ad oltre 1000 m di dislivello, ha una propria regolazione, dovuta alle caratteristiche intrinseche del suo bacino di alimentazione; tuttavia, quasi tutte si uniformano generalmente all’andamento pluviometrico. Infatti, i minimi di portata più pronunciati si hanno nei periodi siccitosi, con le cadute più pronunciate nel periodo che va da settembre a tutto ottobre. Le massime, invece si hanno nel tardo autunno e in primavera, in occasione rispettivamente di piogge continue o dello scioglimento delle nevi invernali.

La velocità di percolazione è generalmente piuttosto elevata ed è possibile stimare che siano sufficienti intervalli di un giorno o poco più per compiere il tragitto dai bordi del bacino alla sorgente. Questo è dovuto all’intensa fratturazione e carsificazione delle rocce, ma anche ai forti dislivelli che l’acqua deve superare, aumentando così la sua velocità, e alla morfologia stessa delle Apuane, ripide ma con scarso volume di roccia, che porta alla formazione di ristrette falde sotterranee.

Tuttavia, deve essere necessariamente fatta una distinzione tra le sorgenti alimentate da acquiferi con permeabilità diffusa per fratturazione da quelle alimentate da acquiferi fortemente carsificati. Infatti, le prime, dove la circolazione nei condotti carsici è subordinata a quella diffusa nelle fratture beanti, sono caratterizzate da un regime di portata estremamente regolare, mentre le seconde, dove gli acquiferi alimentatori presentano una permeabilità dei condotti carsici dominante nel trasferimento delle acque sotterranee, hanno un regime di portata irregolare con picchi di piena che possono essere superiori alla portata di magra anche di due/tre ordini di grandezza.

Questo si ripercuote anche su quello che è l’aspetto di disponibilità idrica delle sorgenti. Dato che è possibile assimilare il flusso in rete di fratturazione ad un flusso di base di un corso d’acqua, e quindi alla portata complessiva che sostiene il flusso nei periodi di magra, e il flusso nei condotti carsici al ruscellamento delle acque superficiali, e quindi con uno sviluppo in concomitanza dei periodi piovosi, è evidente che, ai fini del solo approvvigionamento idrico, è il flusso di base che interessa, dato che l’altra componente ha dei tempi di residenza nell’acquifero troppo brevi per essere utilizzato. Pertanto, le portate reali di ogni singola sorgente di origine carsica, vanno debitamente tarate sulla base della percentuale effettiva delle due componenti.

Nel complesso si può affermare che la circolazione idrica sotterranea che avviene nelle Alpi Apuane è generalmente molto complessa, con bacini sotterranei che raramente, se non mai, coincidono con quelli geografici; inoltre, laddove siamo in presenza di acquiferi carsici l’infiltrazione delle acque meteoriche è sempre molto elevata, arrivando anche al 100% delle acque disponibili per il ruscellamento superficiale. Variano invece le capacità dell’acquifero di immagazzinamento delle acque che s’infiltrano e i tempi con cui queste vengono restituite dalle sorgenti, in funzione del grado di sviluppo del carsismo o, più in generale, dalle caratteristiche idrodinamiche dei sistemi carsici.

Il Monte Corchia in veste invernale

Il Monte Corchia in veste invernale (Foto F. Utili, SCF GSF)

 

Complesso carsico del monte Corchia

Coi suoi quasi 60 km di sviluppo e un dislivello di circa 1200 m il Complesso Carsico del monte Corchia è attualmente il più grande sistema carsico conosciuto in Italia, sviluppandosi in un volume di roccia di 2 km di lunghezza per 1 km di larghezza e poco più di 1 di altezza, costituito dal nucleo di Grezzoni e Marmi della Sinclinale del monte Corchia e racchiuso, su tre lati, dal basamento impermeabile paleozoico.

Le peculiarità di questo complesso sono date dalla sua estrema complessità morfologica e dalla presenza di piani di condotte freatiche altamente sviluppati presenti tra quota 1550 m s.l.m. e quota 450 m s.l.m. (Fig. 11). In linea generale il maggiore sviluppo di gallerie e condotte freatiche, formatesi in regime freatico o epifreatico, si ha in tre fasce di quota comprese tra 1350 e 1450 m s.l.m., tra 1100 e 1250 m (con il massimo assoluto tra 1150 e 1200 m) e tra 800 e 850 m s.l.m.. A quote inferiori ai 700 m s.l.m. il sistema carsico si trova ancora in via di sviluppo e tuttora al di sotto della zona satura. Tale distribuzione altimetrica dei condotti freatici è probabilmente da imputare a fattori tettonici, ossia a variazioni significative nella velocità di sollevamento, tali da determinare alcune fasi di stazionamento prolungato del livello di base intorno a determinate quote (Piccini, 1991; 1992). Inoltre condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo del carsismo possono aver amplificato gli effetti di tali variazioni.

Sezione longitudinale schematica del Complesso Carsico del monte Corchia

Fig. 11 – Sezione longitudinale schematica del Complesso Carsico del monte Corchia. 1=Principali ingressi del sistema, 2=Condotti di origine prevalentemente freatica (gallerie); 3=Condotti di origine prevalentemente vadosa (pozzi e forre);
4=Livello della zona satura; 5=Zona di ritrovamento dei ciottoli arenacei.

(da Piccini, 1992, modificato)


Pianta schematica del complesso carsico del monte Corchia


Riguardo all’età dello sviluppo di questi tre piani principali di gallerie, i dati sull’evoluzione tettonica della Apuane e dei vicini bacini intramontani suggeriscono un’età riferibile al Pliocene medio per la fase più antica, Pliocene superiore – Pleistocene inferiore, per quella intermedia, e Pleistocene medio – superiore per la terza (Piccini, 1992).

Le stime dei paleo-deflussi che hanno originato il sistema di gallerie e la tipologia di sviluppo delle condotte in funzione di un’area relativamente limitata, implicano l’esistenza di un antico bacino di alimentazione (Fig. 12), oggi completamente smantellato, in grado di fornire le grosse quantità necessarie allo sviluppo del complesso sotterraneo. I dati raccolti (Piccini, 1992) fanno presupporre che le portate fluenti attraverso il Corchia siano andate in un primo momento aumentando, raggiungendo i valori massimi in corrispondenza del livello medio delle gallerie, per poi decrescere progressivamente. Questo implicherebbe che, con l’evolversi della morfologia superficiale, il bacino che alimentava il sistema carsico del Corchia ha in un primo momento progressivamente catturato acque dai bacini vicini, e successivamente, con il protrarsi del sollevamento, avrebbe provocato il progressivo smantellamento di questo bacino endoreico, a seguito di catture da parte di torrenti apuani o da parte di altri sistemi carsici posti a quote più basse, sino alla completa scomparsa.

Il monte Corchia e due ingressi superiori

Il monte Corchia e due ingressi superiori

Ipotetico sviluppo areale del paleobacino di alimentazione del Complesso Carsico del monte Corchia

Fig. 12 – Ipotetico sviluppo areale del paleobacino di alimentazione del Complesso Carsico del monte Corchia.
(da Piccini, 1992, modificato)

È interessante notare che nelle gallerie più alte del sistema carsico (Fig. 11), a quota 1450 m s.l.m. sono stati ritrovati depositi di ciottolami con elementi “esotici” di rocce non metamorfiche, non esistenti in affioramenti nelle vicinanze e soprattutto a quote più elevate. Questo avvalora l’ipotesi che queste gallerie abbiano raccolto acque di un bacino superficiale ove o affioravano rocce della copertura alloctona apuana o dove erano presenti depositi con clasti provenienti da tali coperture (Piccini, 1992).

Il quadro paleogeografico che è ipotizzabile per giustificare le stime sulle paleo-portate e sulla presenza di questi ciottoli “esotici” è quello che presenta, per le prime fasi di sviluppo delle gallerie più alte del Corchia, un’età riferibile ad un periodo che è ragionevolmente quello in cui aveva appena inizio il denudamento del nucleo metamorfico apuano e che viene generalmente posto nel Pliocene medio, a circa 3 Ma.

 

Il monte Corchia dalla Pania della Croce

Il monte Corchia, a sinistra, dalla Pania della Croce (Foto F. Utili, SCF GSF)

 

[1]  [2]

VERSIONE DIGITALE ORIGINALE
IMPAGINATA DALL'AUTORE

Premessa - Prefazione - Introduzione - Presentazione
di Franco Utili, Paolo Forti, Giampietro Marchesi, Bruno Steinberg
Pagg. I-IX (7,9 Mb)

Premessa, Prefazione, Presentazione de 'L'Antro del Corchia o Buca d'Eolo'


Caratteri Geologici ed Idrogeologici del Monte Corchia
di Eros Aiello
Pagg. 1-30 (34,19 Mb)

Caratteri Geologici ed Idrogeologici del Monte Corchia


L'Avventura delle Esplorazioni
di Franco Utili
Pagg. 31-75 (66,31 Mb)

L'Avventura delle Esplorazioni


Il Fondo dell'Antro era un Miraggio
di Franco Utili
Pagg. 77-113 (60,70 Mb)

Il Fondo dell'Antro era un Miraggio


I Rami del Venerdì
di Luciano Salvatici
Pagg. 115-152 (45,27 Mb)

I Rami del Venerdì


Il Fiume Marino Vianello
di Franco Utili
Pagg. 153-168 (25,35 Mb)

Il Fiume Marino Vianello


Il Ramo della Fatica
di Giovanni Lenzi
Pagg. 169-178 (15,05 Mb)

Il Ramo della Fatica


Il Ramo degli Ingressi Alti
di Giancarlo Zuffa
Pagg. 179-198 (29,80 Mb)

Il Ramo degli Ingressi Alti


Cap 8 - I Rami dei Fiorentini
di Franco Utili
Pagg. 199-222 (38,76 Mb)

I Rami dei Fiorentini


I Tre Rami
di Matteo Baroni
Pagg. 223-244 (34,34 Mb)

I Tre Rami


La Fauna
di Stefano Vanni
Pagg. 245-255 (13,48 Mb)

La Fauna


Schede d'Armo
di Franco Utili
Pagg. 257-285 (40,25 Mb)

Schede d'Armo


Cronologia delle Esplorazioni
di Franco Utili
Pagg. 287-298 (9,91 Mb)

Cronologia delle Esplorazioni


Bibliografia
di Eros Aiello, Francesco De SIo, Rodolfo Giannotti, Franco Utili, Stefano Vanni
Pagg. 299-335 (26,89 Mb)

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